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Dici “Baccanti a Siracusa”, e subito la mente va a celebri allestimenti del passato, divenuti nel frattempo oggetto di studio e ricerca: le Baccanti del 1922, tradotte e portate sulla scena da Ettore Romagnoli; quelle del 1950 di Guido Salvini con Vittorio Gassman nei panni di Dioniso; quelle di Giancarlo Sbragia del 1980, con Michele Placido protagonista.

E poi ancora le Baccanti di Walter Pagliaro (1998), di Luca Ronconi con traduzione di Maria Grazia Ciani (2002), di Antonio Calenda con traduzione di Giorgio Ieranò (2012). A metterle tutte in fila, uno dopo l’altra, ne esce una pagina memorabile di storia del teatro italiano.

Non abbiamo nessun dubbio che saranno ricordate a lungo pure le Baccanti di quest’anno, affidate al regista Carlus Padrissa, fondatore e animatore del gruppo teatrale catalano La Fura dels Baus, celebre per gli spettacoli ispirati alle tecniche acrobatiche del circo, per una drammaturgia viscerale ed estrema, che mira a coinvolgere direttamente il pubblico e a sconvolgerlo, oltre che per l’impiego di scenografie metropolitane fatte di strutture metalliche e cemento, di materiali residuali e detriti della produzione industriale.

Data questa concezione del lavoro drammaturgico, non c’è dubbio che proprio le Baccanti euripidee fossero la tragedia ideale per cimentarsi. E il risultato è davvero eccezionale: uno spettacolo completo, che appassiona e trascina lo spettatore dal primo all’ultimo minuto, che non tradisce mai il dettato del testo euripideo (grazie anche alla cristallina traduzione di Guido Paduano), adattandola al contesto di una scenografia massimamente moderna e tecnologizzata.

Ma andiamo con ordine. La vera, grande sorpresa che Padrissa riserva consiste nel far letteralmente ‘volare’ le baccanti. Non tutte per la verità. Come è noto, nel dramma di Euripide ci sono da una parte le baccanti orientali, quelle che compongono il coro, che hanno seguito il dio Dioniso dalla Lidia e che da tempo sono conquistate al suo credo e ai suoi riti misterici, e dall’altro le donne tebane che vengono possedute dal dio allo scopo di gettare scompiglio nella città di Tebe e di attuare il suo progetto di vendetta cruenta contro coloro che negano la sua discendenza divina.

Anche nello spettacolo di Padrissa abbiamo due cori distinti di baccanti. Le prime non volano, ma saltellano a ritmi indiavolati qua e là per il teatro. All’inizio appaiono in cima alle gradinate da dove scendono con movenze esagitate lungo i corridoi, mescolandosi tra il pubblico. Sono uomini e donne mescolati insieme, con addosso shorts di pelle, sneaker e un faretto che pende dal collo.

Suonano all’impazzata tamburi e tamburelli di varie dimensioni, si dimenano a ritmi infernali in un’atmosfera musicale fatta di imprecazioni e lamenti, gemiti di dolore e mugolii di piacere. Curiosamente non agitano tirsi. Alla fine, esibiranno anche cartelloni e striscioni (su quello più grande si legge “todos somos Baco”): l’impressione è quella di una manifestazione politica di protesta. Questo coro compie le sue evoluzioni frenetiche su una mezza orchestra nera, sulla quale si scopre man mano l’albero genealogico di Dioniso.

L’altro coro di baccanti, invece, vola acrobaticamente nell’aria. Non si tratta di una metafora, ma della realtà. Padrissa si serve di una gru da cui pendono corde e carrucole di varie dimensioni: le devote di Dioniso, che indossano apposite imbracature di sicurezza, vengono via via fatte elevare e sospese nell’aria dando vita a coreografie aree davvero molto suggestive e spettacolari: un sabba orgiastico che si compie nel cielo e che lascia gli spettatori a bocca aperta.

La sensazione di leggerezza e liberazione corrisponde in pieno al compiersi di quel ‘miracolo’ prodigioso che la religione dionisiaca contemplava nei suoi culti e riti. La recitazione ‘volante’ si concede anche la possibilità di visualizzare quello che nel dramma di Euripide è soltanto evocato più volte con le parole: il mistero della nascita di Dioniso, feto espulso dal grembo di Semele nel momento dell’accoppiamento con Zeus e della conseguente fulminazione.

Al centro della scena svettano due costruzioni metalliche di dimensioni colossali. Una rappresenta una figura umana con in testa due corna da toro, evidente raffigurazione di Dioniso capace di metamorfosi animali, nella fattispecie di trasformarsi in toro. L’altra è una gigantesca testa di uomo, verosimilmente allusione a Penteo e al suo razionalismo. Quest’ultima si rivela essere una gabbia, una prigione che si apre e si chiude a seconda delle necessità.

A recitare il ruolo di Dioniso è una donna, l’ottima Lucia Lavia. Inutile dire che la scelta è perfettamente compatibile con la dimensione transgender e androgina che il dio detiene nel mito e che non si tratta della prima volta, nella storia delle messinscene di questo dramma, che si opta per tale scelta registica. Un precedente celeberrimo è quello di Ingmar Bergman con la sua regia di Backanterna del compositore svedese Daniel Boertz (Stoccolma 1991).

Coi boccoli biondi e l’aspetto seducente, con in mano un tirso extralarge di metallo, questo Dioniso femminile si aggira sinuosamente per lo spazio dell’orchestra, ora rotolando, ora saltellando; alterna recitazione e una sorta di ritmato recitarcantando. La sua figura è ambiguamente seduttiva e spietata al tempo stesso. Riassume icasticamente come meglio non si potrebbe quelle polarità che gli studiosi hanno da tempo riconosciuto come tipiche di Dioniso: maschile/femminile, umano/divino, civiltà/ferinità.

Il vecchio Cadmo (Stefano Santospago) è il simbolo dell’attaccamento alle tradizioni della famiglia e della dinastia regale. Il nonno di Penteo abbonda di toni nostalgici, rimpiange la defunta consorte Armonia intonando “La stagione dell’amore viene e va” di Battiato” (un omaggio all’artista siciliano mancato poche settimane fa). Tiresia (Antonello Fassari), l’indovino cieco che su basi razionalistiche svela a Penteo e al pubblico l’importanza di Dioniso e la necessità di accoglierlo in città, si muove su un curioso trabiccolo a forma di maschera metallica (un sileno, dunque una figura dionisiaca) che sbanda da ogni lato.

E poi, naturalmente, c’è il re Penteo (Ivan Graziano), vestito con un lungo mantello, quasi come un principe rinascimentale, con i capelli lunghi raccolti in una treccia (anche in questo caso la regia ammicca al tema dell’androginia). Il Penteo di Padrissa non fa per niente paura. Fin dall’inizio si capisce che è un debole, un nevrotico, destinato a soccombere. Dioniso lo seduce e lo manipola a suo piacimento fino alla catastrofe finale dello sparagmòs sul Citerone, raccontata dal messaggero (Antonio Bandiera). La scena di Agave (Linda Gennari) non ricorre a nessun effetto speciale, ma nel suo formale tradizionalismo appare molto convincente e angosciosa.

            La regia di Padrissa, una regia tutta fisica e contagiosa, è riuscita a riscrivere le Baccanti di Euripide in una chiave originale. Fedele alla propria impostazione drammaturgica ne ha fatto un dramma “furero”, che spazia tra terra e cielo, tra uomini e dèi, che coniuga ansie ancestrali con modernità tecnologica, che coinvolge il pubblico e fa rivivere la sorpresa e lo sconcerto che certamente dovettero vivere i cittadini di Atene, quando videro la prima rappresentazione del dramma, alla fine del V secolo.

Baccanti

Regia: Carlus Padrissa (La Fura dels Baus)

Traduttore: Guido Paduano

Coreografie e assistente alla regia: Mireia Romero Miralles

Scene e musiche: Carlus Padrissa

Costumi e Scenografo Assist: Tamara Joksimovic

Regista Assistente: Emiliano Bronzino

Direzione dei cori: Simonetta Cartia

Collaborazione alla drammaturgia: Toni Garbini, Michele Salimbeni

Assistente regia: Maria Josè Revert

Disegno luci: Carlus Padrissa

Direttore di Scena: Mattia Fontana

Assistente di scena: Giuseppe Coniglio

Coordinatore allestimenti: Marco Branciamore

Costumista assistente e responsabile sartoria: Marcella Salvo

Progetto audio: Vincenzo Quadarella

Responsabile settore scenografico: Carlo Gilè

Responsabile trucco e parrucco: Aldo Caldarella

Costumi: Laboratorio di sartoria: Fondazione Inda Onlus

Scenografie: Laboratorio di scenografia Fondazione Inda Onlus

 

Interpreti: Lucia Lavia (Dioniso); Stefano Santospago (Cadmo); Antonello Fassari (Tiresia); Ivan Graziano (Penteo); Spyros Chamilos, Francesca Piccolo (primo messaggero); Antonio Bandiera (secondo messaggero); Linda Gennari (Agave); Simonetta Cartia, Elena Polic Greco (corifee); Rosy Bonfiglio, Ilaria Genatiempo, Lorenzo Grilli, Cecilia Guzzardi, Doriana La Fauci, Viola Marietti, Katia Mirabella, Giulia Valentini (coro di baccanti); Lorenzo Grilli, Viola Marietti, Giulia Valentini (coro sospeso di baccanti); Giulia Acquasana, Livia Allegri, Virginia Bianco,Guido Bison, Victoria Blondeau, Vanda Bovo,Valentina Brancale, Spyros Chamilos, Serena Chiavetta, Valentina Corrao, Gabriele Crisafulli, Rosario D’Aniello, Simona De Sarno, Matteo Dicannavo, Tancredi Di Marco, Gabriele Enrico, Carolina Eusebietti, Manuel Fichera, Caterina Fontana, Manfredi Gimigliano,Althea Maria Luana Iorio, Matteo Magatti, Alessandro Mannini,Roberto Marra, Francesca Piccolo, Edoardo Pipitone, Rosaria Salvatico, Jacopo Sarotti, Francesca Trianni, Gloria Trinci, Damiano Venuto, Gaia Viscuso (coro sospeso); Eleonora Bernazza, Sebastiano Caruso. Gaia Cozzolino, Enrica Graziano, Domenico Lamparelli, Federica Leuci, Emilio Lumastro, Carlotta Maria Messina, Maria Chiara Signorello, Flavia Testa (coro di cittadini);

 

Lo spettacolo andrà in scena al Teatro Greco di Siracusa nelle seguenti date del mese di luglio 2021: 4/6/8/10/12/14/16/18/20/22/24/26/28/30, e di agosto: 4/6/8/10/12/14/16/18/20.