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  Viviamo in tempi bui e la parola teatrale non può permettersi di esserne inconsapevole, possiamo dire parafrasando il Brecht della poesia A coloro che verranno.

La necessità di tale consapevolezza risuona nei teatri parigini delle ultime stagioni, attraversando almeno tre generazioni di teatranti, da Alexis Michalik e Caroline Guiela Nguyen, da Wajdi Mouawad a Ariane Mnouchkine e ai suoi compagni del Théâtre du Soleil. E di loro si parla in questo articolo. In quella che è ormai una mecca del teatro mondiale- l’ultima cooperativa teatrale egualitaria ad avere resistito a sessant’anni di storia- l’idea che il teatro abbia le proprie radici allo stesso tempo nell’universalità e nell’oggi degli spettatori e degli artisti è elemento fondante dell’agire artistico ed umano.

Photo Lucile Cocito / Archives Théâtre du Soleil

    Non fa eccezione l’ultima produzione del collettivo parigino dal titolo già ciclopico Ici sont les Dragons (Un grand spectacle populaire inspiré par des faits réels en plusieurs époques- Première époque, 1917, La victoire était entre nos mains) - Ecco i Dragoni (Un grande spettacolo popolare ispirato da fatti reali in diverse epoche, Prima epoca, 1917 La vittoria era tra le nostre mani), primo pannello, prima epoca, di una trilogia dedicata alla storia della Russia dal 1917 fino all’avvento di Putin. Ecco che fin dalla scelta del tema si coniugano le due impellenze di cui parlavo prima- l’universale dell’essere umano e il particolare della contingenza storica. Ariane Mnouchkine e i suoi compagni del Théâtre du Soleil non intendono proporci un’operazione libresca sulla rivoluzione russa ma uno spaccato che, attraverso lo specchio deformante del teatro, ci porti ad una riflessione e ad una comprensione ampia del percorso che in cento anni ci ha portato sulle soglie di un nuovo conflitto globale.

     L’agire della compagnia è già in se stesso portatore  del senso dell’operazione teatrale. Il progetto nasce infatti durante un soggiorno del collettivo in Ucraina nel 2023 per tenere una sessione della loro “école nomade” con un gruppo di attori locali. Da quel soggiorno è nato un film di Duccio Bellugi-Vannuccini e Thomas Briat (Au bord de la guerre) ma soprattutto l’esigenza di questa trilogia, di questo enorme progetto di indagine sulla nostra storia e sulla nostra contemporaneità allo stesso tempo. Dunque la scelta del tema nasce da una esigenza collettiva e lo spettacolo, come spesso accade, è costruito da un lavoro collettivo diretto da Ariane in armonia con il lavoro di drammaturgia di Hélène Cixous.

    Se collettivo dunque è il percorso di costruzione e allo stesso tempo di vita dei membri della compagnia, più fortemente si costruisce il senso di dibattito e di condivisione diffusa tra gli spettatori delle ragioni dello spettacolo, del suo portato di senso umano e politico.

    Ici sont les Dragons dunque. La Mnouchkine non vorrebbe che si desse un’identità precisa a questi Dragoni, come leggiamo in un’intervista nell’ultimo numero di Théâtral magazine (n. 108, Novembre-dicembre, p. 9, in cui la regista spiega che l’ispirazione del titolo viene dal motto Hic sunt dracones che si trovava sulle antiche carte geografiche). A spiegarci chi sono i dragoni è la drammaturga Hélène Cixous in un suo scritto del 28 giugno 2024 che presenta il progetto sul sito del Théâtre du Soleil:

 Dittatori, capi, tiranni totalitari, mangiatori di uomini, ciechi ciclopi, pittori falliti, falsi poeti, grandi solo per loro illimitata ambizione […] campioni olimpionici nella pratica della menzogna. Oggi chiamiamo l’uno Putin, o l’altro Dragone da quella parte Trump? Sì certo Trump. E quell’altro? Ah, è Hitler.

  Il primo pannello della trilogia, dedicato al 1917, ha debuttato il 27 novembre del 2024 e le repliche sono previste fino al 27 aprile del 2025. Fin dalle prime scene lo spettacolo rivela un filo rosso strettissimo con le scelte di poetica della compagnia: un teatro d’arte e popolare allo stesso tempo. La prima scena è aperta dal personaggio di Cornélia, regista alter ego della stessa Mnouchkine: su un grande schermo il viso di Putin annuncia l’invasione dell’Ucraina: tempestata dai pugni e dalle grida di Cornélia, la tela su cui è proiettato il video si deforma conferendo alla faccia del dittatore russo tratti ancora più diabolici di quelli suoi propri.   

   Da qui, come in un dramma didattico brechtiano, si apre una rappresentazione delle fasi della rivoluzione russa a partire dal 24 febbraio del 1917. Tutti gli attori calzano una maschera completa e tutti sono doppiati da un altro attore fuori scena: se per un verso questa scelta consente di recitare lo spettacolo in russo, inglese e francese allo stesso tempo, dall’altra parte abbiamo un lavoro dell’attore che si caratterizza per un’adesione fortissima ad una concezione epica della recitazione.

Ici sont les Dragons Photo Lucile Cocito / Archives Théâtre du Soleil 2024

   I riferimenti a Brecht in questo spettacolo non mi paiono casuali: da una parte la concezione drammaturgica avanza per quadri annunciati da titoli e cartelli, il che propone un’idea prossima al dramma didattico, dall’altra gli attori agiscono secondo una dinamica del tutto straniante. Come delle marionette, come attori di pantomima, si concentrano sul lavoro gestuale, antinaturalistico e antimimetico, e il corpo è del tutto separato dalla voce, dalla parola articolata, dotata di senso. Questa separazione tra il livello semantico-verbale e il tratto sovrasegmentale del gesto è un carattere proprio di quella dimensione popolare che Mnouchkine intende portare avanti una volta ancora con questo spettacolo, così come in molti precedenti.

   I riferimenti si moltiplicano: i teatri asiatici e il Nō in particolare, il mito della commedia dell’arte, quello delle marionette per un verso e per l’altro i grandi maestri che da questi teatri sono stati influenzati e di cui sono stati interpreti, da Kleist a Brecht a Craig per finire, da ultimo, proprio ai grandi maestri del teatro russo come Tairov e Mejerchol’d.

 Nella costruzione di questa drammaturgia la storia entra con prepotenza: nessun fatto raccontato nello spettacolo è frutto di immaginazione e anche le parole che i personaggi pronunciano sono l’esito di una ricerca del gruppo sui personaggi che animano la scena: Lenin, Trotskij, Stalin, Nicola II tra gli altri.

      Il cortocircuito che si crea in scena è uno degli aspetti più interessanti dell’operazione: per un verso i personaggi pronunciano parole che effettivamente sono state pronunciate nella Storia con la esse maiuscola e i fatti che compongono il plot sono realmente accaduti; per un altro la dimensione straniante del gioco degli attori e della macchina scenica ci consente un distanziamento che ci porta a una riflessione cosciente – ma non fredda – utile a suscitare un dibattito collettivo attorno ai motivi dello spettacolo.

    Coscienza non fredda, si diceva: perché la Mnouchkine non raffredda il coinvolgimento emotivo, secondo il giusto principio che quest’ultimo non è necessariamente nemico della riflessione consapevole e il teatro può e deve emozionare proprio attraverso specifici suoi strumenti che per loro natura sfuggono al mimetismo. Questo aspetto emerge con più evidenza quando la drammaturgia ci mette di fronte ai destini dei normali cittadini stritolati dagli ingranaggi della macchina della Storia: una scelta che resta per ora sullo sfondo rispetto al racconto degli avvenimenti e che probabilmente salterà in primo piano nei successivi due pannelli, per sottolineare maggiormente il conflitto esistenziale che esplode nel confronto tra l’umanità degli individui e i destini determinati dai Dragoni detentori del potere. Nella scelta registica e drammaturgica i Dragoni sono rappresentati con più evidenza come marionette, burattini da guignol, maschere di una commedia tragica, mentre tratti di maggiore umanità sono assegnati ai piccoli individui che ai Dragoni sono sottomessi. Per questa via lo spettacolo ci accompagna fino alla presa del potere da parte dei Bolscevichi.

   Impossibile citare tutti i nomi di chi anima questo come gli altri spettacoli del Théâtre du Soleil (vedi sotto i credits).                  

   Terminato lo spettacolo il pubblico rimane in teatro a discutere, a muoversi, a conoscersi e a riconoscersi tra le mura di questo straordinario teatro alla Cartoucherie, nel bel mezzo dei Bois de Vincennes, una casa in cui tutti sono accettati con umanissima partecipazione, in cui ad accoglierti all’ingresso e ad augurarti una buona sera quando decidi di uscire è proprio Ariane Mnouchkine, genius loci, signora del teatro necessario.

    Sotto la pioggia di una fredda serata parigina il pubblico si allontana e si gira un’ultima volta a vedere le luci sulla facciata del teatro, un arrivederci a quel tanto di sé che lasciamo indietro e che portiamo al contempo con noi stessi, tutte le volte che l’artificio della scena ci mostra una verità che riguarda noi tutti e tutte le volte che viviamo quella unica rivelazione dell’esistere che si chiama teatro.