Il vertice si apre con l’enigmatico sorriso della Gioconda: il quadro è appeso, sorprendentemente, in un montacarichi che fa la spola da un indefinito luogo a valle sino a una baita in cima a una montagna. Da questo montacarichi scendono un po’ alla volta sei personaggi, di nazionalità diverse, arrivati per partecipare a un misterioso ‘vertice’.
Il titolo dello spettacolo è un gioco di parole: come in italiano, anche in tedesco Gipfel, ‘vertice’, può significare sia il punto più alto di una montagna sia, metaforicamente, un incontro di alto livello, sia una méta o un obiettivo eccezionale. In Svizzera, Gipfel è anche un particolare croissant, dolce o salato.
In ‘vertice’ appare in scena: la cima rocciosa di una montagna che buca il pavimento. Un vertice nel vertice, un’escrescenza acuminata, il centro spaziale verso cui convergono i personaggi e attorno al quale svolgono i loro movimenti.
Qual è lo scopo di questa riunione? Resta un enigma. I personaggi arrivano in costume tradizionale di montagna, ma poi si cambiano indossando abiti adatti per una serata di gala e si spogliano per sedersi in sauna. Sembra una vacanza collettiva, ma i frammenti di parole, in sei lingue diverse, talora sono seri, contengono schegge di discorsi filosofici, riflessioni esistenziali, testimonianze dal passato ritrovate in un diario, grida d’aiuto in situazioni disperate, come durante un terremoto o una guerra.
Resta anche un enigma se i personaggi si intendano tra loro: l’unico momento di reale comunicazione e di sintonia collettiva avviene sulle note trascinanti di Prisencolinensinainciusol di Adriano Celentano, un inno all’incomprensibilità ma anche alla musica come linguaggio universale. I personaggi ballano freneticamente, come in un rito dionisiaco.
La strana riunione attraversa tutti i registri emotivi: il divertimento, l’ironia, la tensione, la paura. Alla fine, si comprende forse che i personaggi sono convenuti in quel luogo per amore del vertice stesso, che è una creatura da accudire e su cui vegliare. Il vertice rappresenta perciò una specie di ambiguo Olimpo, luogo beato ma anche prigione, rifugio e scappatoia, vicino agli dèi ma anche all’inferno, un doppio dell’Ade in cielo.
I personaggi sono, almeno all’inizio, assolutamente soli, egoriferiti, non riescono a instaurare tra loro legami di simpatia umana o di comprensione o anche di una qualche intimità. Alla fine, sembrano rassegnati a una convivenza obbligata e a trovare una forma nuova per superare insieme un futuro assai incerto.
Qualcuno li osserva da fuori – un fuori indefinito, da cui vengono non rassicuranti rumori – e li fornisce di cibo, vestiti, estintori antincendio, nonché di aria, diventata un bene molto prezioso sulla terra. I sei personaggi sono perciò degli eletti, hanno raggiunto il vertice della loro esistenza e condizione, e contemporaneamente dei sopravvissuti, destinati a portare in un mondo che verrà – se verrà – l’eredità di quello antico. L’occhio esterno che li osserva, li avvisa di quel che accade fuori, che dà loro l’essenziale è anche l’occhio del regista e l’occhio del pubblico, che garantiscono, l’uno e l’altro, l’esistenza in vita dei personaggi perché continuino a fare teatro, in un mondo in cui tutto ciò che è creativo e vitale sembra destinato a morire.
Il teatro di Christoph Marthaler, di cui abbiamo recensito qui una delle ultime produzioni non arrivate in Italia, è teatro di pensiero: i suoi lavori sono una sfida del regista al pubblico, ma anche a sé stesso e ai suoi collaboratori, drammaturghi, scenografi, attori e altri. Gli spettacoli di Marthaler sembrano sempre nascere nel momento stesso in cui vengono messo in scena. Così Il vertice nello spazio teatrale prende direzioni inattese, non obbedisce ad alcun copione, segue il flusso del pensiero, pone domande allo spettatore – a cui poi ognuno risponde come vuole –, ma di fatto il teatro di Marthaler in generale, dunque anche Il vertice, poggia su una serrata architettura di teoria e prassi teatrale.
Perciò il libretto di sala, che presenta, oltre all’editoriale di Claudio Longhi, la Conversazione tra Christoph Marthaler, Malte Ubenauf ed Eric Vautrin dal titolo Lassù, sulla montagna… (si può scaricare qui) fa parte integrante dello spettacolo: non è un commento e meno che mai una spiegazione, ma una descrizione di come la pièce è nata, si è sviluppata, quali esiti ha dato e quali potrebbe dare, con una conclusione fulminante dello stesso Marthaler:
“Nel nostro “vertice”, intravedo qualcosa di un’umanità che dovrebbe dialogare, ma non ne è più capace.”
Chistoph Marthaler, nato nel 1951 a Erlenbach, vicino a Zurigo, negli anni Settanta e Ottanta è stato attivo come musicista teatrale presso vari teatri di lingua tedesca. Dal 1988 al 1993 ha lavorato stabilmente presso il Theater Basel. Nel 1993, con lo spettacolo «Murx den Europäer! Murx ihn! Murx ihn! Murx ihn! Murx ihn ab!», il suo originale linguaggio teatrale ha raggiunto notorietà nei teatri di lingua tedesca. Sono seguite ulteriori messe in scena alla Volksbühne am Rosa-Luxemburg-Platz di Berlino e allo Schauspielhaus di Amburgo. Dal 2000 al 2004 Marthaler ha diretto lo Schauspielhaus di Zurigo, che in quel periodo è stato proclamato due volte «Teatro dell’anno», da cui ha dato poi le dimissioni per incomprensioni politiche. In seguito, ha curato regie all’Opéra national di Parigi, al NT Gent, alla Rote Fabrik di Zurigo e alle Wiener Festwochen. Per il Festival di Salisburgo ha diretto l’opera «L'affare Makropulos», per l’Opera di Zurigo il progetto händeliano «Sale» e, nel 2014, al Teatro Real di Madrid, «Les contes d’Hoffmann». Marthaler ha ricevuto numerosi riconoscimenti per il suo lavoro: nell'estate del 2009 gli è stato assegnato il Premio culturale della città di Zurigo, nel 2011 l’Hans-Reinhart-Ring, massimo premio teatrale della Svizzera, nel 2015 il Leone d’oro della sezione Teatro della Biennale di Venezia alla carriera e nel 2018 l’International Ibsen Award. Nel 2020 ha ricevuto il premio Nestroy alla carriera. Nella stagione 24/25 è presente con 4 ‘prime’ e con 4 spettacoli di repertorio (qui).
Manca uno studio monografico su questo regista, tra i più fecondi e interessanti del teatro contemporaneo. Segnaliamo qui il volume: Christoph Marthaler, Haushalts Ritual der Selbstvergessenheit, a cura di Stefanie Carp und Malte Ubenauf, Berlin, Theater der Zeit, 2014, disponibile on-line : https://tdz.de/shop/produkt/e50778b0-ed4b-4110-913e-db5f703fd843
Questo libro è importante perché si tratta di una specie di bilancio da parte dello stesso autore sul proprio processo creativo, un quaderno di lavoro (Arbeitsbuch) di tradizione brechtiana.
In occasione delle recite dello spettacolo ‘Il vertice’, negli spazi del Teatro Strehler è stata allestita un’esposizione fotografica dedicata agli ultimi spettacoli di Christoph Marthaler.
Il vertice
PRIMA ASSOLUTA
di Christoph Marthaler
con Liliana Benini, Charlotte Clamens, Raphael Clamer, Federica Fracassi, Lukas Metzenbauer, Graham F. Valentine
drammaturgia Malte Ubenauf
scena Duri Bischoff
costumi Sara Kittelmann
trucco e acconciature Pia Norberg
luci Laurent Junod
suono Charlotte Constant
collaborazione alla drammaturgia Éric Vautrin
assistente alla regia Giulia Rumasuglia
maestri accompagnatori Bendix Dethleffsen, Dominique Tille
assistente volontario alla regia Louis Rebetez
coordinatori di produzione Marion Caillaud, Tristan Pannatier
accessori e costruzione della scenografia Théâtre Vidy-Lausanne
costumi realizzati in collaborazione con la sartoria del Piccolo Teatro di Milano
produzione Théâtre Vidy-Lausanne, Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa, MC93 - Maison de la culture de Seine-Saint-Denis
coproduzione Bonlieu Scène nationale Annecy, Ruhrfestspiele Recklinghausen, Les Théâtres de la Ville de Luxembourg, Festival d’Automne à Paris, Théâtre National Populaire de Villeurbanne, Festival d’Avignon, Maillon Théâtre de Strasbourg - Scène européenne, Malraux scène nationale Chambéry Savoie, Les 2 Scènes - Scène nationale de Besançon, tnba - Théâtre national Bordeaux Aquitaine, International Summer Festival Kampnagel
nell’ambito del progetto “Interreg franco-suisse” n° 20919 – LACS - Annecy-Chambéry-Besançon-Genève-Lausanne
Le foto sono sul sito del Piccolo Teatro di Milano: © Masiar Pasquali