Il trascorrere degli anni, si dice, consente una valutazione più meditata di quanto ci ha lasciato chi non è più con noi. Mi torna in mente il primo incontro con Giusto Monaco, il primo vero incontro, intendo dire. Ero iscritto da qualche mese alla Facoltà di Lettere di Palermo e, ai pari di tanti altri studenti, frequentavo il suo corso di Letteratura latina.
Alla fine di una delle prime lezioni mi trovai, stretto nella calca delle matricole che uscivano dall'aula, accanto a quel professore alto ed elegante che aveva appena terminato di illustrarci con solida dottrina i primi rudimenti della filologia classica. Il suo sguardo corse al bottone nero appuntato all'occhiello della giacca che indossavo e che, come usava ancora nella seconda metà degli anni '60, indicava un lutto familiare. «Chi hai perso?», mi chiese; e quando seppe che mio padre era morto l'anno precedente mi invitò, cogliendo la sofferenza che traspariva dalle mie parole, a recarmi in Istituto di Filologia latina per parlare un po' con lui. Andai a trovarlo e parlammo a lungo del mio amore per le letterature, antiche e moderne, e del dolore per quella perdita che avvertivo come una mutilazione ingiusta. Nacque così un sodalizio cui devo gran parte di ciò che ho imparato come uomo e come studioso.
Non si può comprendere appieno la grandezza umana della figura di Giusto Monaco senza conoscerne la morte socratica. Dai medici che lo assistevano era stato informato della gravità del male che lo aveva colpito, ma questa consapevolezza non modificò in nulla la sua convinzione di sempre: le battaglie vanno combattute sino in fondo, senza illusioni ma con la serena fermezza di chi sa che un posto gli è stato assegnato e che quel posto non deve essere abbandonato. E questo ha fatto, continuando a progettare il futuro dal suo letto d'ospedale con intatta determinazione.
Nello stanzone del reparto di Ematologia del Policlinico universitario palermitano, ove insieme a lui erano ricoverati otto degenti, tutti gravissimi, Monaco ha proseguito la sua attività di presidente dell'INDA, l’Istituto Nazionale del Dramma Antico, lavorando sino all'ultimo giorno alla realizzazione del XXXIII ciclo di spettacoli classici, cui spettava il compito di onorare degnamente gli ottant’anni dell’Istituto.
A quegli spettacoli non avrebbe potuto assistere, ma non era questo ciò che per lui contava davvero: fedele sino in fondo a sé stesso, capace di testimoniare l'amore per la vita anche quando questa lo abbandonava.
Nato nel 1915 a Siracusa, Monaco compì gli studi liceali a Palermo presso il liceo Garibaldi; si laureò presso l'Università di Pisa frequentando la Scuola Normale, ove fu uno degli allievi migliori di Giorgio Pasquali, cui restò sempre legato da un sentimento di profonda riconoscenza. Illustre filologo classico, insignito di prestigiosi riconoscimenti scientifici nazionali e internazionali, universalmente stimato nel mondo degli studi e poi anche in quello del teatro, amava definirsi semplicemente uomo di scuola. E un maestro certamente è stato per molte generazioni di studenti, dapprima nelle aule liceali (anche a Sassari, dove fu professore di Francesco Cossiga) e quindi nell'insegnamento universitario, esercitato per un breve lasso di tempo presso la Facoltà di Magistero dell'Ateneo palermitano e poi ininterrottamente presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, di cui fu preside dal 1973 al 1979; guida sicura di tanti giovani attirati a lui dalla sua cultura e, in misura non minore, dalla sua humanitas.
Chi è stato da lui avviato alla ricerca scientifica, e poi seguito con affetto paterno nel corso degli anni («questi sono figli miei», era solito dire dei suoi allievi), ha avuto la fortuna di conoscere da vicino i differenti tratti della sua personalità: il grande rigore da studioso, in primo luogo, la raffinata sensibilità letteraria, l'attenzione vigile per i fatti linguistici e stilistici, l'interesse per il ruolo che riveste la componente storico-culturale nella produzione del testo: tutti aspetti in cui era facile scorgere operante la lezione di Giorgio Pasquali. E poi l'ironia sorridente rivolta verso di sé prima ancora che verso gli altri, la consapevolezza che nessuna verità è mai definitiva nel campo della ricerca, e dunque l'apertura intelligente a nuove metodiche d'indagine critica.
La sua produzione scientifica, ricca e articolata, si è sviluppata prevalentemente in tre ambiti: l'epica virgiliana, la retorica latina, il teatro greco e latino. Tra i contributi virgiliani restano fondamentali il commento al quinto libro dell'Eneide (1953) e, soprattutto, il saggio su Il libro dei ludi (1957), cui si deve l'individuazione del ruolo essenziale assolto dalla narrazione dei giochi in onore di Anchise nell'economia del poema. Sul versante retorico lavori di rilevante importanza sono le edizioni critiche, corredate da approfondito commento e da ampia introduzione, dell' excursus de ridiculis di Cicerone (1964) e del capitolo de risu di Quintiliano (1967). L'interesse per le facezie e, più in generale, per il comico nelle letterature classiche è all'origine dell'indagine sui Paragoni burleschi degli antichi (1963) e di molteplici ricerche plautine: basti qui ricordare l'edizione commentata del Curculio (1969), esemplare per rigore filologico e per accuratezza dell'analisi scenica. E poi gli scritti dedicati al teatro greco, tra cui si segnalano per originalità d'impostazione e per validità di risultati quelli sulla "scena allargata" e sulle didascalie.
Giusto Monaco ha colto come pochi studiosi dell'antico l'affascinante ambiguità insita per noi moderni nella civiltà greca e latina, per molteplici aspetti così vicina alla nostra, poiché ne è all'origine, ma anche, necessariamente, dalla nostra così remota e differente; ed è proprio la lucida percezione di questa duplicità - che chiama il critico ad un rigoroso esercizio intellettuale nella distinzione tra identità ed alterità - il filo sottile che percorre tutte le sue ricerche e ne definisce la specificità.
Quella civiltà egli ha amato profondamente, ma sempre con l'occhio rivolto alla contemporaneità, e ha voluto che tornasse ad essere bene di tutti, fonte di riflessione e strumento utile per dibattere i problemi antichi e nuovi della polis. In questo suo modo di concepire il significato e la funzione degli studi classici è la ragione prima della passione per il teatro e dell'instancabile impegno profuso per oltre un ventennio nella guida dell'Istituto Nazionale del Dramma Antico (INDA).
Grazie alle sue doti di organizzatore e di promotore di cultura l'INDA ha conosciuto un impulso straordinario, estrinsecatosi nelle grandi manifestazioni teatrali a Siracusa e a Segesta, ma anche nelle rappresentazioni realizzate in molti altri teatri antichi in Italia, in Grecia, in Spagna, in Austria e perfino in Giappone, nei congressi internazionali di studi sul dramma antico, celebrati a Siracusa con cadenza biennale, nella pubblicazione della rivista «Dioniso», sede privilegiata per la discussione scientifica sulle problematiche relative alla drammaturgia greca e latina, nell'istituzione di una scuola di teatro classico che ha consentito a giovani attori di conseguire una qualificata competenza professionale. Quella sua passione, che era anche passione civile, può essere adeguatamente illustrata soltanto ricorrendo_alle sue parole:_
Oggi come ieri, teatro è responsabilità, consapevolezza di problemi civili, etici, comportamentali, impegno a scelte personali che possono essere traumatiche ma che devono considerarsi ineludibili. Oggi come ieri, teatro è acquisizione e governo di mezzi d'espressione, affermazione di umane conquiste, esaltazione di forze individuali e di esigenze societarie. Oggi come ieri, teatro è libertà, lotta per essere artefici della propria sorte, ricerca del significato dell'esistenza, meditazione di interrogativi spesso destinati a rimanere senza risposta, rifiuto di essere oppressi, disdegno di farsi oppressori.
Con queste parole Giusto Monaco, definiva, poco prima di morire, natura e ruolo del teatro. Non solo del teatro antico, ma del teatro in quanto tale. Non gli sfuggiva certo che le antiche fabulae furono concepite come copioni destinati alla scena, che la filologia che ha per oggetto quel corpus di opere deve, dunque, essere in primo luogo filologia teatrale, che non ha fondamento alcuno la pretesa della fedeltà archeologica nella riproposizione di tragedie e commedie classiche, laddove occorre piuttosto mettere a frutto le modalità proprie della comunicazione teatrale contemporanea e, contestualmente, render manifesta l’irriducibile alterità di voci che parlano di una civiltà lontana da quella odierna, seppure in qualche misura ne è all’origine.
La via lucidamente individuata era quella dell’indagine che contaminasse ambiti tra loro tradizionalmente distanti, filologia classica e riflessione teorica sui linguaggi della drammaturgia, archeologia e antropologia: la mise en scène, in questa chiave, doveva costituire un momento di sperimentazione e di verifica, capace di rendere il grande patrimonio culturale degli antichi, troppo spesso divenuto sapere specialistico per pochi raffinati esegeti, bene “popolare”, condiviso cioè da vasti strati sociali, per lo più rimasti esclusi dall’accesso a una cultura tradizionalmente “alta”.
Si trattava, in tutta evidenza, di una scommessa rischiosa ma per oltre un ventennio vinta con risultati difficilmente prevedibili, tanto dal punto di vista del progresso degli studi quanto per il successo riscosso da produzioni drammaturgiche che si avvalevano, in modo talora assai felice, dell’innovativa sinergia di antichisti e di professionisti del teatro.
È evidente,io credo,che l'amore di Giusto Monaco per il teatro e per il mondo classico è stato conseguente ad un fortissimo amore per la vita, che è l'aspetto peculiare della sua personalità e che ne ha fatto uno studioso sempre attento all'umanità altrui, naturalmente curioso e pronto a cogliere quanto di vero e di valido vi era nelle posizioni del suo interlocutore, anche le più lontane dalle sue.
Era qui la radice prima della sua signorilità sorridente e del suo equilibrio di giudizio,di quella tollerante indulgenza che non è mai stata disinteresse o aristocratico distacco. Perciò ai suoi allievi ha consegnato, oltre alla straordinaria lezione di scienza, una non meno importante lezione di onestà intellettuale e di rispetto per l'altro. Di lui non credo che si possa dire meglio di quanto hanno fatto i giovani della scuola di teatro dell'INDA nei versi che per lui hanno scritto e che hanno dedicato alla sua memoria:
In alto sui gradoni del Teatro Greco:
un grande uomo, un nonno buono e pieno
di vitalità che passeggia, assorto nel
silenzio di quelle pietre. E in quel
lungo cammino riempito con sorrisi
rassicuranti il suo fine: regalare
tanti sogni. Questo ci ha lasciato,
un grande sogno, il Teatro.
Ci dicevi sempre grazie, ma ad ogni
sipario che si alzerà davanti ai nostri
occhi saremo noi a ringraziarti.
Parte di questo testo è apparsa in «Dioniso» 2004 (in occasione del decennale della scomparsa di Giusto Monaco) e nel primo numero della rivista Dionysus ex machina. Rivista online di studi sul teatro antico, diretta da Giusto Picone e Angela Maria Andrisano (Palumbo editore). Ringraziamo l’autore per aver permesso qui la ripubblicazione. Il materiale iconografico è tratto dal sito dell’ Istituto Nazionale del Dramma antico ‘Scuola di Teatro Classico – Giusto Monaco’