…voi dei, manifestatevi, cacciate via la morte,
se già in passato, contro la rovina
che invase la città, voi respingeste
lontano, via da noi, la fiamma del dolore:
venite qui anche adesso.
I miei dolori sono senza fine:
e tutta la mia gente
soffre, nessun pensiero oppone un’arma
per resistere al male. E più non cresce
frutti la terra splendida, le donne
non sciolgono, nel parto, le grida dei travagli,
e un uomo dopo l’altro – vedi – come
voli d’uccelli corrono
più forte d’una fiamma incontenibile
alla riva del dio che dà il tramonto.
Muore di tante morti la città,
senza numero: e giacciono, i suoi figli, abbandonati, a terra,
senza un pianto,
e spargono la morte: e ovunque, spose
che strillano alle sponde degli altari
e madri incanutite, supplicando
pace per tutto il male che le affligge.
Ares violento, nudo
di scudi, senza bronzo, ora mi assale,
grida, mi brucia: e tu caccialo indietro,
che corra, vòlto in fuga, via, lontano
di qui
Tu distruggilo, Zeus, sotto il tuo lampo,
padre, tu che hai il dominio
dei fulmini infuocati.
(La lezione di oggi sarà su alcuni versi dalla parodo dell’ Edipo Re di Sofocle (vv. 161-203, traduzione di Federico Condello), in una classe al terzo anno di un liceo artistico sulle rive dell’Osellino. Ho condiviso il file con il testo, senza indicare l’autore, senza dire nemmeno in generale di cosa si tratta.)
Solo qualche parola di introduzione: c’è un gruppo di abitanti di una città che invoca gli dei perché vengano a salvarli dalla peste. Ho letto la traduzione dei versi ad alta voce.
Avete capito? Coro di 'no' (alcuni in chat, alcuni aprono l’audio).
Discutiamo insieme di come il poeta rappresenti l’epidemia, propongo. Quali sono le parole che usa per descrivere la peste? Un messaggio dietro l’altro, in chat: rovina, dolore, fiamma, morte, pena.
Cosa provoca l’epidemia? Una catastrofe, scrive Mathias – l’esercizio non gli piace, è evidente.
Muoiono tutti, scrive C. Quasi tutti, aggiunge L.
La terra non dà più frutti, le donne non partoriscono, le spose piangono i mariti, le mamme piangono i figli, cerco di parafrasare i versi.
Greta: si parla di un’epidemia vera?
Si, il poeta si riferisce ad un fatto storico, la peste di Atene, iniziata nel 430 a.C., rispondo.
Questa è l’ora di storia o di italiano?, chiede disorientato C.
Greta apre il microfono: non ho capito alcune cose, nemmeno la parola ‘incanutite’. Spiego l’aggettivo.
Greta legge con più attenzione: che vuol dire ‘venite qui anche adesso’?
Gli dei sono già venuti un’altra volta ad aiutare la città, forse sempre per la peste, dico. La stessa peste o un’altra? – domanda subito A.. Probabilmente la stessa, dico.
Una delle paure legate alle epidemie è che ritornino, anche noi abbiamo paura che l’epidemia ‘ritorni’ alla fase uno, per questo non riaprono le scuole. Continueremo ad andare a scuola in chat? – scrive L.
Mathias, aprendo il microfono: non è poi così male, la scuola in video conferenza. Nemmeno vedere i nonni su skype, scrive subito dopo. Li vedo più adesso di prima.
La città si chiama Atene? chiede F.
Il poeta che ha scritto questi versi pensa certamente ad Atene, ma può essere una qualsiasi città, una città che è in balia di un’epidemia, dico.
Una zona rossa, dice Greta, come era Vo’? Come è l’Italia? Come era la Cina?
Si, qualcosa del genere.
A quei tempi non avevano skype, provoca Mathias.
Qual è l’immagine che in questi versi vi sembra più legata alla peste? – insisto.
Il fuoco – risponde subito F..
La malattia ‘brucia’, gli uomini sono avvolti da una ‘fiamma’ che non si riesce a spegnere: in preda a questo fuoco, corrono verso la riva del ‘dio che dà il tramonto’.
Che significa? Il tramonto dà l’oscurità, quindi qui si tratta del dio dell’oscurità.
Chi è questo dio dell'oscurità? - torna a scrivere Mathias. Il dio dell’oltretomba, il dio che non ha luce, il dio del buio: i Greci lo chiamavano ADE, l’invisibile.
Lo conosco, dice il timido F., ho visto il film [forse Hercules della Disney, 1997, o forse lo ha inventato].
Gli uomini corrono verso la riva di un fiume, credendo di poter così spegnere la fiamma che li sta divorando: in realtà vanno verso la morte, perché si immergono nel fiume dell’al di là. Cerchiamo di capire queste immagini.
L’immagine della ‘corsa’ vuol dire che la malattia ‘corre’, scrive Greta. L’immagine della riva significa che morire è attraversare un confine, come tra la riva e l’acqua di un fiume, dice Sofia, aprendo il microfono.
L’immagine della fiamma e del fuoco è più chiara, aggiunge Giada: rappresenta la febbre, che è il sintomo della malattia.
Allora cosa sono gli asintomatici? chiede T. Quelli che non hanno la febbre, risponde Giada con sicurezza.
Perché un fiume e non il mare? – scrive qualcun altro. Perché i Greci immaginavano l’oltretomba al di là di un fiume.
Un fiume come l'Osellino?, scrive C. poi aggiunge l'emoticon con una risata :)))
Forse siamo sulla soglia dell'oltretomba, dice Chiara, pensierosa.
Noi non possiamo sapere cosa significa morire, dice Mathias, che usa adesso audio e video. È in camera sua, da solo. Un privilegiato, gli altri hanno molta gente intorno.
Comunque, la malattia di questa poesia deve essere stata peggiore del Coronavirus, aggiunge avvicinandosi alla web cam; qui sembra che muoiano tutti, col Coronavirus muoiono solo i vecchi.
Non è vero, risponde subito F. in chat.
I due non si sopportano.
Chi è Ares?, chiede Mathias ignorando il messaggio del compagno. Il dio della guerra. Se doveste illustrare le parole del poeta come disegnereste questo Ares?
Senza lo scudo e senza armi, scrive Giada, dopo aver riflettuto.
Ma un dio della guerra senza armi che senso ha? Qui il dio della guerra porta guerra con altre armi, porta guerra con la peste, rispondiamo insieme dopo averci pensato un po’. Anche oggi – dice Alessia – siamo in guerra con il virus.
Siamo davvero in guerra? – chiedo. Voi vi sentite in guerra?
Mathias si annoia: come facciamo a sapere cos’è la guerra? Noi siamo giovani, i vecchi che hanno fatto la guerra sono tutti morti. Poi aggiunge, un po’ nervoso: no, non è una guerra, non ci sono bombardamenti, non ci sono armi, non ci sono eserciti.
La gente muore, scrive Giada. Emotico con sigh sigh.
Non si possono seppellire i morti, aggiunge T.
Anche in questa poesia non si seppelliscono i morti: si dice che restano ‘abbandonati a terra’. Sofia dice che oggi non è proprio così: i morti sono sepolti, ma non si possono fare i funerali. Mathias scrive ‘è lo stesso’.
Sofia non è d’accordo, ‘non è lo stesso’, chatta subito con l’emoticon della rabbia.
Mathias insofferente non vuole più parlare di cose così tristi, ne ha abbastanza anche delle continue notizie che è costretto a sentire a casa, non vuole saperne più niente, chiude audio e video.
Giada cambia discorso: ma questa poesia è una preghiera?
Qualcosa di simile, rispondo, è un’invocazione agli dei. Zeus, che è il padre degli dei, ha il potere di vincere Ares, cioè l’epidemia. Con i fulmini? – chiede Greta. Al fuoco si risponde col fuoco, scrive Mathias; allora È UNA GUERRA (maiuscolo).
Anche noi dobbiamo pregare Dio? – insiste Greta. Nessuno risponde. Si stanno distraendo. Gli dei Greci personificano dei fenomeni, scrivo. Ares rappresenta la guerra in forma umana, è un dio perché la guerra è un fenomeno immenso, potente, di una potenza sovrumana. Gli dei greci sono come dei super-uomini. Mathias scrive: CORONAVIRUS = DIO. Emoticon di risate.
Cosa pensate di questi versi? Sono difficili, scrive L.
Io non ho capito niente, aggiunge R. -Neanch’io, scrive P.
Io ho capito che non possiamo proprio farci niente, scrive F.
Cosa vuoi dire?, intervengo. C’è scritto qui: ‘nessun pensiero oppone un’arma per resistere al male’, scrive ancora F., quindi non ci possiamo fare niente.
Mathias si risveglia: questa è una poesia VECCHIA – scrive – non c’erano i medici di oggi.
Penso che basti, do loro un compito facoltativo, provare a illustrare i versi che abbiamo letto oppure rappresentare con un’immagine quel che stanno provando in questi giorni.
I risultati potete vederli sotto: Pietro è l’autore delle fotografie, Giada del ritratto del professore prima e dopo il covid19, Chiara del disegno con il ragazzo e mascherina. Gli altri non hanno voluto partecipare.
Andrea Cerica, dottore di ricerca con una tesi su Pasolini e gli antichi, è insegnante precario.