Un’enorme cassettiera, al centro del palco, domina la scena. La cassettiera è il luogo dove si conservano gli oggetti, ma in Die Frauen von Trachis funge anche da luogo dove i personaggi della tragedia cercano rifugio, nascondendosi, e da dove, spuntando fuori dai cassetti all’improvviso, cercano di fuggire. Questo mobile riproduce in grande un pezzo di arredamento tipico di una casa borghese tuttavia proprio le sue dimensioni spropositate suggeriscono allo spettatore non intimità familiare o rassicurazione ma un peso, una simbolica ponderosa eredità che grava sulla scena, estranea ai personaggi e al pubblico.
All’inizio di Die Frauen von Trachis i personaggi appaiono appoggiati sia alle pareti della cassettiera sia alle pareti del palcoscenico, alcuni di spalle rispetto al pubblico altri di profilo. Nessuno cerca un contatto visivo con gli spettatori; tutti comunicano un senso di distanza. Fra i protagonisti spicca Eracle (Sebastian Rudolph) che, nudo, sul fondo della scena, assume per tutto il tempo che precede la sua entrata in scena (che nel dramma di Sofocle avviene solo dopo il v. 970) pose che ricordano quelle di statue greche e rinviano alla sua condizione eroica – condizione che Eracle perderà –.
Con Eracle risalta Illo (Katja Bürkle), il figlio avuto da Deianira. Il giovane è il solo personaggio rivolto al pubblico mentre siede, con le gambe penzoloni, sulla copertura di un container metallico che occupa un angolo della scena opposto a quello dove si trova il padre. Il container è simbolo di una condizione contraria a quella della cassettiera: questa rinvia a stabilità, inamovibilità, tradizione, il container invece a mobilità e spostamento. L’azione si svolge dunque tra questi due poli semantici e simbolici che, nel corso del dramma, si caricano di ulteriori significati: legame familiare e libertà individuale; indipendenza e legami generazionali; rapporti affettivi e rapporti di potere. Rispetto a queste valenze, le figure di Illo e di Eracle sono emblematiche. Illo, che appare inizialmente come l’unico personaggio libero di muoversi e di pensare, sarà costretto dal padre morente a subire la violenza patriarcale in tutta la sua brutalità.
Nel prologo della tragedia sofoclea Deianira (Patrycia Ziółkowska) riassume la sua infelice storia con Eracle: le nozze con l’eroe, la nascita dei figli, Eracle quasi sempre assente e lontano da casa a compiere le note fatiche – molte cruente –, la vita in esilio a Trachis per Deianira e per i figli a causa dell’uccisione di Ifito compiuta da Eracle. In Die Frauen von Trachis Ziółkowska-Deianira interpreta magistralmente l’impegnativo prologo e subito si capisce qual è la sfida che il regista (Jossi Wieler) e gli attori devono affrontare nella messa in scena di questo dramma: un testo di 1278 versi, denso, con poche azioni. La nuova traduzione di Kurt Steinmann per questo spettacolo fa risplendere il testo che, si potrebbe dire, è il vero protagonista. La scelta del regista e degli attori di usare gesti e movimenti che rispondano a essenzialità e misura dà ancora più risonanza alle parole.
La Deianira di Ziółkowska è una donna consapevole. Ammette apertamente la sua dipendenza da Eracle e il suo ruolo subordinato di donna. Proprio nel raccontare la sua storia con l’eroe, la sua realtà familiare e la sua condizione, Deianira acquista forza, una forza che però si rivela fragile e vulnerabile: a scuoterla e metterla in crisi è l’arrivo di una fanciulla accompagnata dall’araldo di Eracle, Lica (Matthias Neukirch). La giovane non parla. È visibilmente sconvolta. I gesti nervosi e il trucco sbavato lasciano trasparire un trauma. La giovane è Iole (June Ellys Mach), oggetto del desiderio di Eracle che aveva espugnato la città dove lei viveva per portarla via e farla sua concubina. Deianira-Ziółkowska, ignara di tutto questo, all’inizio vuole accogliere, ospitale e pietosa, la turbata sconosciuta ma a poco a poco a Deianira viene rivelata la verità su Iole che viene così rinchiusa nel container. A questo punto il dado è tratto, l’azione può iniziare.
Nella cassettiera è tenuto il veleno che ucciderà Eracle ma che Deianira ritiene erroneamente una pozione capace di legare a sé il marito: con questa tinge la tunica per l’amato, incaricando Lica di portargliela in dono. La storia rocambolesca della sostanza, rivelatasi velenosa, viene raccontata al pubblico dalla stessa Deianira: il centauro Nesso aveva cercato di violentare Deianira da giovane, ma fu ucciso tempestivamente da Eracle. Prima di spirare, Nesso fece credere alla fanciulla che il suo sangue avrebbe funzionato da «filtro magico per il cuore di Eracle» (vv. 575-576). Deianira quindi lo custodì fino a quando, pur in preda a qualche dubbio, decise di usarlo. Il suo dono a Eracle si rivela letale. Deianira scopre la vera natura del filtro magico quando è ormai troppo tardi: informata dal figlio Illo che Eracle, dopo aver indossato la veste fu preso da dolori atroci e indicibili a causa sua, la donna scompare e va a togliersi la vita.
Entra allora in scena Eracle, un bravissimo Sebastian Rudolph, in preda alle sofferenze causate dal dono di Deianira. L’eroe è avvolto in un grande telo bianco che, impregnato del veleno di Nesso, diventerà il suo sudario. Eracle non appare come il portatore di civiltà noto alla mitologia greca. Non sconfigge più mostri, non ha una forza indicibile: sta invece morendo lentamente e dolorosamente. Tuttavia, anche nell’ora della morte, tra acute grida di dolore, Eracle-Rudolph non rinuncia a esercitare la sua autorità patriarcale sui familiari, trasformando le relazioni più intime in luoghi di esercizio del potere. Perciò ordina al figlio Illo di sposare al suo posto Iole, integrandola così nella famiglia e facendo di Illo lo strumento per attuare la sottomissione della donna.
Illo appare in scena vestito, fin dall’inizio, come un qualsiasi ragazzo di oggi, un adolescente che gioca a calcio o va sullo skateboard. In generale in questa pièce i costumi, come la scenografia, collocano l’azione in un passato recente se non nel presente. Illo è interpretato da una donna, Katja Bürkle: ciò non sorprende nel teatro contemporaneo, come non sorprendeva che in quello ateniese di V sec. a.C. i personaggi femminili come Deianira e Iole fossero interpretati da uomini. In Die Frauen von Trachis, tuttavia, affidare a Katja Bürkle il ruolo di Illo potrebbe anche prefigurare una possibile ribellione contro i ruoli che, nella tragedia, Eracle prevede e impone ai membri della sua famiglia e che ha loro imposto. Katja Bürkle riesce a esprimere perfettamente la mescolanza di indipendenza e dipendenza, spensieratezza giovanile e senso adulto di lealtà verso il padre, che caratterizza il personaggio eppure viene da chiedersi: ma Illo-Bürkle sposerà davvero Iole, come ha promesso al padre?
Non è scontato che questa tragedia, con una vicenda mitica non universalmente conosciuta come invece quella di Edipo o Antigone, con alcune componenti che rinviano al fantastico – la presenza, nella storia, di creature mostruose o ibride come il centauro Nesso –, una tragedia dal testo complesso e alquanto statica, riesca a coinvolgere il pubblico. La trama di Trachinie è in effetti oscura perché molte sono le premesse della vicenda mitologica, storie antiche, depositate nella memoria o che hanno lasciato tracce nei corpi e negli oggetti, come il filtro magico di Deianira, storie che riemergono tra i ricordi all’improvviso oppure sono evocate da enigmatici detti oracolari che condizionano azioni e pensieri dei personaggi. Le tappe principali dell’azione vera e propria di questa tragedia di Sofocle sono invece poche e si possono elencare rapidamente: Iole e il messaggero entrano in scena; Deianira manda il veleno a Eracle; Eracle sconvolto dal dolore entra in scena. Tutto il resto è accaduto nel passato, si svolge altrove o è proiettato nel futuro, e tutto questo arco temporale viene solo raccontato.
Die Frauen von Trachis è uno spettacolo coinvolgente, grazie alle eccezionali interpretazioni degli attori, alla regia di Jossi Wieler, che si concentra sull’essenziale, alla scenografia semplice di Muriel Gerstner, giocata su due punti focali, la cassettiera e il container: pochi elementi che creano lo sfondo per il dramma inaudito che si svolge in un luogo non-luogo, destinato a essere abitato dai figli orfani di Eracle e Deianira.
Die Frauen von Trachis mette bene in evidenza le connessioni tra i rapporti di potere patriarcali esercitati nel matrimonio e in famiglia e la violenza brutale della guerra. In questo troverei un’affinità con la recente messa in scena dell’opera Dido & Aeneas di Henry Purcell, per la regia di Ina Christel Johannessen (di cui abbiamo parlato qui). Mentre questo spettacolo esplora il rapporto tra amore passionale, tradimento e guerra, in Die Frauen von Trachis si richiama invece l’attenzione sui mali insiti nell’istituzione familiare. Entrambe le rappresentazioni sollevano non solo la questione di come la guerra influenzi le persone e le loro relazioni, ma anche – e forse è più importante – di come le dinamiche della convivenza in una società patriarcale siano terreno fecondo per la guerra e la devastazione.
Muriel Gerstner
Sulle Trachinie di Sofocle[1]
Il dramma inizia con quello che si potrebbe definire il lamento di Deianira, ma che legittimamente si può considerare la lucida analisi di un io femminile che parla della propria condizione all'interno di una società patriarcale dominata dalla violenza, in cui la donna viene trattata come un oggetto desiderabile con una data di scadenza.
Deianira non è più giovane, né è una rivoluzionaria come Antigone, ma una fine osservatrice delle circostanze e di sé stessa. Descrive come suo padre l'abbia usata come premio nella competizione per ottenerla in sposa, l’agone per un trofeo femminile, che Eracle, l'eroe del nuovo ordine divino, vince in duello contro Acheloo, dio fluviale primordiale e polimorfo.
Deianira non ha alcun margine di azione, tantomeno libertà di scelta; deve essere grata di essere sfuggita alla minaccia del matrimonio con Acheloo, che la riempiva di un disgusto profondo. Come questo influenzi il suo rapporto con Eracle è lasciato all’interpretazione del pubblico.
Quindi Deianira descrive come Eracle abbia abbandonato lei e i figli che di tanto in tanto generava – non in un ambiente familiare, ma esplicitamente in esilio, dove era stato costretto a fuggire con la sua famiglia a causa dell’omicidio, di cui non si dà nessun dettaglio, di “Ifito, l’uomo forte”. In esilio, Deianira vive nell’incertezza di una rifugiata e nell’angoscia per il destino di Eracle e dei suoi figli, affidati a uno xenoi par’ andri (v. 40), un’espressione che si può tradurre come “presso un ospite” ma che, più letteralmente, significa “presso un uomo straniero”.
Lo sguardo di Deianira sulle donne traumatizzate che Eracle le ha inviato come bottino di guerra è segnato dall’orrore, non dal sollievo che lei stessa dice che dovrebbe provare, dal momento che Eracle è vivo e tornerà presto a casa. Tra tutte, una delle prigioniere, Iole, che non riesce a parlare, suscita particolarmente la sua pietà. In lei, Deianira rivede la propria storia ripetersi e riconosce il ripresentarsi strutturale della violenza all’interno della società in cui entrambe vivono. Nessuna delle sue parole o azioni successive è rivolta contro la giovane donna, che si rivelerà essere l’oggetto del desiderio di Eracle, ma sempre contro le condizioni che le imprigionano entrambe.
Questo emerge in modo particolarmente evidente in un’espressione greca difficile da rendere nelle traduzioni. Deianira parla della kore (qui nel senso di “vergine”) che ha accolto, ma poi si corregge: non una vergine, piuttosto considera Iole già – e qui arriva il punto cruciale – assoggettata da Eracle.
Quella vergine – no, non la credo più una vergine, ma una donna, a lui legata (ezeugmene), ormai! – io, ignara, l’ho accolta in casa, come un marinaio imbarca un nuovo carico. Ed è merce che mi distrugge l’anima. Ora siamo in due sotto una coltre sola ad attendere l’amplesso. (vv. 536-540, traduzione di Maria Pia Pattoni)
Nelle traduzioni tedesche, questa frase suona spesso come se vi fosse consenso, mentre nel testo greco si problematizza chiaramente la violenza del rapporto sessuale imposto. Il verbo zeugnymi non lascia dubbi sul significato, poiché indica il gesto di aggiogare i buoi al giogo.
Se poi si considera che Eracle è stato costretto all’esilio per aver ucciso Ifito, il fratello di Iole (una connessione genealogica che il testo non esplicita), e si riflette su quale impatto abbia avuto la morte del fratello su un’altra eroina sofoclea, Antigone, diventa ancora più evidente quanto unilaterale e violento fosse questo desiderio.
Nelle Trachinie, inoltre, si parla ripetutamente di lasciti ed eredità, che siano sotto forma di scritti su tavole o, in maniera particolarmente drammatica, sul letto di morte del padre. Eracle, infatti, strappa al suo sventurato figlio la promessa di prendere in moglie Iole. Illo è costretto ad acconsentire: deve, in quanto sostituto del padre morto, sposare una donna che non vuole affatto e che ritiene responsabile della rovina della sua famiglia.
Negli ultimi istanti di vita, la violenza di Eracle non si esercita solo contro la giovane donna, nuovamente trattata come un oggetto di cui disporre, ma anche contro il proprio figlio.
Il grande lascito di Sofocle è proprio quello di rendere visibile questa fatale e occulta struttura di violenza. Per questo, le Trachinie non terminano con l’apoteosi dell’eroe, come ci si potrebbe aspettare, ma con l’incubo della sua eredità opprimente, che continuerà ad alimentare i fantasmi del passato.
Die Frauen von Trachis (Sofocle)
Traduzione: Kurt Steinmann
Regia: Jossi Wieler
Scene: Muriel Gerstner
Costumi: Anja Rabes
Musica: Biber Gullatz
Luci: Heide Tömpe
Drammaturgia: Victor Schlothauer.
Deianira: Patrycia Ziólkowska
Nutrice: Judith Hofmann
Altea: Tabitha Johannes
Macaria: Carla Richardsen
Illo: Katja Bürkle
Lica: Matthias Neukirch
Iole: June Ellys Mach
Eracle: Sebastian Rudolph.
Schauspielhaus Zürich, première 14 dicembre 2024
Per le foto:
© Matthias Horn / Schauspielhaus Zürich
[1] Testo originale scritto per il programma di sala dello spettacolo Die Frauen von Trachis. Traduzione di Sotera Fornaro.