Da Sofocle alla realtà virtuale, dal Teatro di Dioniso alla tecnologia digitale, da Tebe a Verona. Gli esperimenti del cosiddetto “teatro virtuale” sono sempre più numerosi, e non mancano gli studi specifici dedicati a questa modalità di spettacolo. Ma finora poco o nulla si era fatto, almeno per quanto a nostra conoscenza, in relazione alla tragedia greca.
Nei mesi scorsi la chiusura dei teatri a causa della pandemia ha stimolato drammaturghi e registi ad inventare nuove forme di comunicazione teatrale. L’esperimento più riuscito e più eclatante in questo ambito è stato probabilmente quello del tedesco Alexander Eisenach col suo Anthropos, Tyrann (Ödipus) alla Volksühne di Berlino: rappresentazione in teatro, senza pubblico, con possibilità per gli spettori di seguire in diretta la visione “digitale” da casa, sul monitor del computer, muovendosi liberamente con il mouse sulla scena [cfr. https://www.visionideltragico.it/blog/contributi/edipo-re-la-tragedia-dell-antropocene-un-esperimento-di-teatro-digitale-alla-volksbuehne-di-berlino].
In forma più ridotta, ma con molto entusiasmo e buona volontà, anche in Italia si sta tentando qualcosa del genere. Domenica scorsa a Verona, in un assolato pomeriggio primaverile, mentre i ragazzi e le ragazze tornavano ad affollare i locali del centro e le coppe di prosecco e spritz tornavano a riempirsi e svuotarsi nella velocità e nella quantità consuete, nel piccolo teatro off Fucina Culturale Machiavelli, a due passi dal solenne edificio del Teatro Romano, abbiamo assistito a Edipo Re in Virtual Reality, performance concepita per un solo spettatore alla volta, il quale per mezzora viene catapultato nell’antica Tebe e sollecitato a ripercorrere insieme coi protagonisti del mito le vicende della saga labdacide.
Nel varcare l’ingresso del teatro qualche dubbio e non poche perplessità correvano nella testa dell’improvvisato critico, appassionato di tragedia greca e abituato a rappresentazioni più o meno tradizionali. Ma la curiosità di vedere qualcosa d totalmente nuovo, la prospettiva che un Edipo “virtuale” potesse suscitare emozioni speciali, e se non altro l’avere qualcosa da raccontare ad amici e colleghi, ha avuto la meglio sulle remore dello studioso classicista. E alla fine posso dire di non essermene pentito affatto, perché dietro questo tentativo avanguardistico di rielaborare uno dei più potenti archetipi drammaturgici in chiave tecnologica, c’è un disegno intelligente che cerca di coniugare il passato col presente, la tradizione con l’innovazione, la fedeltà con il tradimento.
All’inizio il pubblico (cioè l’unico spettatore) viene fatto sedere ad una scrivania e per qualche minuto si gode sullo schermo del computer un divertente cartone animato che riassume i tratti essenziali della vicenda mitica di Edipo, dalla nascita alla deposizione sul Citerone, fino alla scoperta dell’identità di parricida e incestuoso e conseguente autoaccecamento (disponibile su youtube: https://www.youtube.com/watch?v=hAM8F6hTN5A). «Quello che vedrai è la tragedia già avvenuta; seguirai i passi dell’indagine di Edipo», avverte la voce fuori campo con un tono di voce che improvvisamente si fa cupo. L’agevole ripasso della trama è dunque il viatico necessario per iniziare la performance: tutto quello che doveva succedere è successo. Ora si tratta di ripercorrerne le tappe sentendo i protagonisti.
Lo spettatore entra quindi in teatro e passando attraverso le poltrone della platea desolatamente vuote sale sul palcoscenico. Nel teatro virtuale, almeno in questo caso, lo spettatore è il vero protagonista della performance, si trasforma in attore e regista. Per poterlo fare deve però indossare un visore Oculus Quest, una specie di elmo con monitor incorporato (igienizzato a dovere dopo ogni performance) che consente di vedere una realtà tridimensionale che esiste solo virtualmente. Se Edipo ha perso la vista, lo spettatore che si immerge nella sua storia è dotato di una vista superiore (come già sapeva Friedrich Hölderlin: «Der König Ödipus hat ein Auge zuviel vielleicht», «Il re Edipo forse ha un occhio di troppo»).
L’avventura virtual-digitale comincia e lo spettatore si trova sbalzato in un ambiente marino: camminando su scogli sospesi sull’acqua si arriva ad un tempio dorico con la scritta in caratteri greci ΓΝΩΘΙ ΣΕΑΥΤOΝ. Non faccio in tempo a richiamare alla mente che quella massima delfica «conosci te stesso» non era un invito all’introspezione, ma un’esortazione a restare nei propri limiti di essere umano, che un personaggio prende la parola seduto di spalle. È il vecchio indovino Tiresia (Stefano Scherini), qui figura narrante che introduce e alla fine congeda. Capelli bianchi, corporatura non da vecchio come ci aspetteremmo, voce profonda, Tiresia parla con tono ispirato e oracolare. «Ci sono zone, dentro di te, alle quali nemmeno tu hai accesso. Ma alcune parole sono come chiavi» spiega per poi invitarmi a procedere con coraggio oltre le colonne del tempietto e ad entrare nel regno dell’Oltretomba. Tutto si tiene, perché nell’Odissea, undicesimo libro, Tiresia è effettivamente colui che consente a Odisseo il contatto con le anime dei morti.
Varcata la soglia di questo ipotetico Acheronte lo spettatore-attore entra in un appartamento moderno, arredato con scrivania, computer, lampada e altri oggetti vari. Sul tavolo giace un manoscritto misterioso. Appesi al muro i ritratti dei discendenti del ghenos regale tebano, una grande mappa dell’Ellade, prime pagine di giornale su cui si leggono titoli a caratteri cubitali come «Assassinato re Laio», «L’enigma della sfinge continua», «Proseguono le indagini per l’assassinio di Laio», «Il breve lutto della regina», «Re Edipo è l’impuro: ha ucciso il padre e sposato la madre». L’idea di una fantasiosa “Gazzetta di Tebe” (ma il nome del giornale non compare) che scandisce la cronaca degli eventi passati è una delle trovate più riuscite dello spettacolo. Impossibile non soffermarsi a leggere quei titoli con divertito compiacimento.
Scopriamo nel frattempo di essere arrivati in quello che era lo studio di Edipo, nel cuore della reggia di Tebe. Nessuno dice allo spettatore-attore cosa fare all’interno di questo enorme video-gioco nel quale ci si ritrova inghiottiti. In assenza di un joystick da manovrare, comandi da cliccare o freccette da spostare, si prova a toccare con le mani gli oggetti, constatando che si tratta di eidola immateriali, fatti di pura aria come l’Elena che non giunse a Troia, secondo la favola stesicorea. Ad ogni modo la dinamica drammaturgica si rivela più semplice del previsto: ciascuna delle finestre dello studio di Edipo si apre quando ci si posiziona davanti, e dentro ogni finestra si concretizza una scena animata, un pezzetto della vicenda, un tassello del puzzle. In una finestra vedo Giocasta (Sabrina Carletti) e Edipo (Mauro Bernardi) che stanno per coricarsi nel talamo: lui accarezza delicatamente la madre-moglie e si ingelosisce nel vedere un gioiello dono di Laio. Lei lo tranquillizza parlando male dell’ex marito («Non ci amavano da tempo»).
In un’altra finestra di nuovo Giocasta seduta sullo stesso talamo nuziale, ma molti anni prima, con in braccio Edipo neonato; lo coccola dolcemente, non vuole separarsene. Alla guardia (Luca Meneghetti) che viene a prenderlo per portarlo sul Citerone implora di aspettare un altro giorno. Sono brevi scene che trasferiscono il mito in un contesto di vita familiare-borghese, ma non prive di efficacia. Della disperazione di Giocasta per la decisione di far uccidere il figlio, con conseguente risentimento verso Laio, non mi pare ci sia traccia alcuna nelle testimonianze antiche. Ma l’invenzione ha un suo perché e produce un effetto toccante.
Un’altra finestra mostra la Sfinge (Margherita Varricchio) che non ammette la sconfitta; poi compare la Pizia (Anna Benico), la quale ricorda di avere raccontato all’imberbe Edipo, venuto a Delfi per sapere la verità sui suoi genitori, la prima assurdità che le è venuta in mente, senza la minima ispirazione divina (sulla falsariga del racconto La morte della Pizia di Dürrenmatt). Il coro è fatto di tre maschere teatrali appese al muro, che commentano salacemente i fatti.
Edipo Re in Virtual Reality è una riscrittura della tragedia sofoclea ad opera della drammaturga Sara Meneghetti, laureata in Lettere e diplomata all’accademia Paolo Grassi di Milano, nonché cofondatrice e direttrice artistica di Fucina Culturale Machiavelli. La sua riscrittura del dramma sofocleo si presenta come un viaggio nel tempo in cui lo spettatore è libero di muoversi e, con il suo sguardo e i suoi spostamenti, dà avvio alle scene della storia, tutte recitate da reali attori in un set virtuale in 3D. Il vero protagonista è lo spettatore, come si diceva, che si trasforma in attore e regista. «Prima d’oggi non c’è traccia di uno spettacolo simile; la novità del far recitare gli attori a teatro davanti ad un green screen e il lasciar decidere il ritmo della storia allo spettatore rendono questo progetto unico», spiega la regista nel programma dello spettacolo.
Se la vicenda di Edipo è stata letta da molti come una detective story, anzi come l’archetipo della letteratura di tal genere, ecco che qui lo spettatore è chiamato ad aprire un’indagine su quanto accaduto, raccogliendo gli indizi che trova qua e là. Si procede cronologicamente all’inverso, dalla fine all’inizio, rivelando gradualmente gli elementi essenziali dell’opera di Sofocle. Fino alla sequenza finale, quando ricompare l’indovino Tiresia, tra le rovine del tempio, sospeso in un’atmosfera onirica tra oceano e galassie, che commenta il senso universale del mito e spiega come uscire dall’Oltretomba per ritornare nel mondo dei vivi.
Alla fine si esce un po’ storditi, ma contenti di avere fatto l’esperienza. Ci si chiede se questa forma di spettacolo possa avere un futuro, come potrebbe migliorare, quale potenziale ha sul piano didattico. Si riflette sul fatto che l’operazione drammaturgica non è affatto banale, anzi offre spunti di grande interesse. La scena di Giocasta che stringe al seno il piccolo Edipo e chiede tempo alla guardia che lo vorrebbe portare sul Citerone è originale e straziante. La Pizia distratta e cinica, come anche la Sfinge che non accetta la sconfitta, sono trovate ironiche che funzionano. Forse i discorsi teologico-esistenzialisti di Tiresia suonano un po’ troppo enfatici. Soprattutto ci si rallegra di essersi tolti dal capo il pesante visore, di avere lasciato la Tebe virtuale e di ritrovarsi in una Verona soleggiata e vitale, di incontrare un’amica con cui chiacchierare sorseggiando un caffè e uno spritz. Il tutto (l’amica, il caffè e lo spritz) assolutamente concreti e tangibili, fortunatamente non virtuali.
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Edipo Re in Virtual Reality (2021) è una produzione di Fucina Culturale Machiavelli (startup culturale fondata nel 2015 con sede a Verona), scritto e diretto da Sara Meneghetti, liberamente basato sulla tragedia Edipo Re di Sofocle, realizzato con il sostegno di MiBac e Siae. Gli interpreti sono: Mauro Bernardi (Edipo), Stefano Scherini (Tiresia), Anna Benico (Pizia), Margherita Varricchio (Sfinge), Sabrina Carletti (Giocasta), Luca Meneghetti (Guardia), Sara Betteghella, Jessica Grossule, Matteo Spiazzi (Coro).
Musiche di Stefano Soardo e Davide Saggioro; fotografia di Marco Ambrosi; luci di Davide Meneghetti; costumi di Valentina Bazoli.
Gli aspetti tecnologici sono curati dal gruppo Ximula, guidato da Eugenio Perinelli, che vanta una decennale esperienza nel campo dei videogame e nella creazione di esperienze in realtà virtuale per gli ambiti medico, del fashion e della comunicazione aziendale.
Lo spettacolo è previsto fare tappa prossimamente a Udine, Milano e Torino. Per informazioni su luoghi e date: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.