Edipo torna al Teatro Olimpico di Vicenza a quattro secoli e mezzo di distanza dalla celebre rappresentazione di Edipo Tiranno del 1585, per la quale il sublime edificio neoclassico, progettato da Andrea Palladio e completato da Vincenzo Scamozzi, era stato concepito[1].
Da allora ad oggi, in verità, molti Edipo sono passati sul palcoscenico dell’Olimpico, alcuni memorabili come per esempio, limitandoci alle produzioni degli ultimi decenni, quello del 1948 (regia di Guido Salvini, traduzione di Manara Valgimigli e musiche di Arrigo Pedrollo), del 1997 (regia di Gianfranco De Bosio con ripresa integrale della messinscena cinquecentesca), del 2000 (regia di Lamberto Puggelli, traduzione di Dario Del Corno), del 2018 (regia di Robert Wilson).
Il nuovo Edipo si intitola Il canto di Edipo ed è firmato da Alessandro Serra, regista e autore, fondatore della compagnia Teatropersona, che ne ha curato regia, scene, luci, suoni e costumi. Il progetto, il cui titolo completo è Tragùdia - Il Canto di Edipo, fonde insieme i due drammi sofoclei Edipo Re e Edipo a Colono (una congiunzione già realizzata in passato tra gli altri da Glauco Mauri) ispirandosi liberamente non solo a drammi del V secolo, ma anche alle testimonianze relative al mito, così da creare uno spettacolo di grande pregio artistico e capace di coinvolgere ed emozionare il pubblico. Il titolo, Il Canto di Edipo, rimanda direttamente alla presenza di musiche di scena (partiture di Bruno De Franceschi) e canti, appositamente composti per l’occasione, che costituiscono una dimensione essenziale dell’opera e riportano il pubblico a modalità d fruizione antiche, quando le tragedie messe in scena al teatro di Dioniso ad Atene associavano l’aspetto verbale e quello visuale, con l’accompagnamento di musica, danza e canto.
Ma l’aspetto più singolare, direi la scommessa più azzardata da parte del regista, consiste nel far recitare e cantare gli interpreti in grecanico, antica parlata greca conservatasi in alcune comunità della Calabria meridionale, del Salento e della Sicilia (traduzione di Salvino Nucera). Una lingua incomprensibile ai più, con suoni e fonemi che rimandano alla lingua greca antica e moderna: una scelta spiazzante che costringe lo spettatore a sbirciare i soprattitoli, ma crea un’atmosfera ‘magica’, quasi arcaica e universale al tempo stesso, rendendo la rappresentazione delle vicende di Edipo, col suo tragico destino, qualcosa di vissuto veramente e di esemplare per tutti.
Ad entrare in scena per prima, a luci ancora accese, è la Sfinge: l’attrice in abito nero e ali sulla schiena s’inerpica su uno sgabello e per alcuni minuti, in assoluto silenzio, segue con lo sguardo gli spettatori che ancora stanno prendendo posto. Quando, infine, inizia a parlare, dapprima dà il benvenuto al pubblico ricordando l’obbligo assoluto di silenziare i cellulari, minacciando per gli inadempienti una terribile punizione da parte del dio Apollo. Sembrerebbe l’avvio di una rivisitazione comico-grottesca, alla maniera di Dürrenmatt, ma subito il tono si fa serissimo. La Sfinge canta il suo enigma. Edipo (interpretato da Jared McNeill), con la pelle nera, appare sulle gradinate, da cui scende per andare incontro alla Sfinge, le si avvicina fino ad abbracciarla in una sorta di amplesso mimato alla fine del quale pronuncia la sua prima parola: “l’uomo”. La Sfinge crolla a terra come fulminata. Un messo della città di Tebe offre al viandante la corona, simbolo del potere che gli spetta.
L’episodio della Sfinge, che nell’Edipo re sofocleo, è solo accennato in quanto avvenuto anni prima, in questa rappresentazione viene invece reso icasticamente sulla scena; è un principio drammaturgico che Serra adotta sistematicamente rimontando l’intera fabula edipica in una sequenza narrativa continua, dalla soluzione dell’enigma fino all’enigma della sparizione finale nel boschetto delle Eumenidi a Colono. Tutti i segmenti della vicenda, che il testo sofocleo tralascia dalla scena e rievoca tramite racconti e dialoghi, vengono qui rappresentati in presa diretta come dei flashback con scelte registiche per lo più molto convincenti ed efficaci, ma anche imprimendo al tutto un ritmo ben diverso da quello sofocleo, più disteso nel tempo diacronico del racconto. Per certi versi tale scelta stilistica richiama il film di Pier Paolo Pasolini Edipo re del 1968.
Inserzioni sceniche di tenore analogo sono quella del litigio di Edipo da ragazzo a Corinto con un coetaneo ubriaco che gli rivela di non essere figlio biologico di Polibo e Merope, la consultazione dell’oracolo delfico, la deposizione di Edipo in fasce sul Citerone e la consegna dell’infante al pastore corinzio. Anche il suicidio di Giocasta, dopo essere salita sullo sgabello (vero oggetto feticcio e onnipresente di questa messinscena), è offerto alla vista del pubblico. Quando Edipo scopre la madre-moglie appesa nella camera nuziale, la abbraccia sovrapponendo il proprio corpo al suo esattamente come aveva fatto con la Sfinge. L’autoaccecamento con un punteruolo è parimenti esibito in scena, ma all’ultimo si spengono le luci ed è solo il grido straziante del protagonista a scandire la climax della tensione drammatica.
Tiresia è una figura femminile, con benda nera sugli occhi a suggerirne la cecità e due bastoni. Si muove gattonando e lanciando grida del tutto incomprensibili. Le sue profezie nefaste per il sovrano di Tebe sono però pronunciate in forma cantata con l’accompagnamento del coro (un coro che non esiste come elemento separato dagli attori, ma che si compone e scompone di volta in volta aggregando tra loro alcuni degli interpreti). Se lo scopo era quello di sottolineare la dimensione ambigua e perturbante della figura di Tiresia, Serra ci riesce perfettamente.
La seconda parte del Canto di Edipo è una rappresentazione dell’Edipo a Colono, con qualche inevitabile taglio rispetto al testo sofocleo, forse un po’ contratta nel ritmo rispetto alla prima, ma ugualmente ricca di soluzioni ingegnose e di grande suggestione per le musiche e i canti in grecanico. Alla voce corale spaventata e compassionevole degli abitanti di Colono, intimoriti di fronte all’illustre esule tebano, re decaduto e portatore di contagio, risponde Teseo, che qui è una donna, indossa una maschera (unico personaggio del cast) di fattezze orientali, e si esprime con la lingua dei gesti, con cui riesce a farsi comprendere perfettamente e a contrastare il tentativo di rapire Antigone e Imene da parte dell’anziano Creonte, armato di bastone. Nel momento supremo, quando Edipo è chiamato dagli dèi e scompare nel boschetto delle Eumenidi, Teseo recupera la parole e può congedarsi dall’ospite garantendo protezione alle figlie.
Nelle intenzioni di Serra, in questa riscrittura che a tratti sembra trasformarsi in un musical, c’è il desiderio di trasformare l’Edipo del mito antico nel simbolo della condizione umana contemporanea in un percorso aspro e difficile che porta il protagonista a toccare il fondo più mostruoso dell’esistenza, scoprendosi parricida e incestuoso a sua insaputa, fino all’apoteosi del contatto col sacro. «Edipo re è la storia dell’Uomo che giunge a un risveglio interiore dopo aver attraversato il dolore ed essersi ricongiunto all’infanzia», ha scritto il regista Serra in una nota pubblicata nel programma di sala[2]. Edipo qui non ha nulla di eroico, non è neppure quell’eroe della conoscenza che molti interpreti scorgono nella tragedia di Sofocle; è un uomo fragile, segnato dal destino, vittima delle circostanze, capace di soffrire e di trovare alla fine un riscatto.
[1] Sulla messinscena di quell’Edipo Tiranno del 1585 cfr. A. Gallo, La prima rappresentazione al teatro Olimpico, con i progetti e le relazioni dei contemporanei, Milano 1973; L. Schrade, La représentation d’Edipo Tiranno au Teatro Olimpico (Vicence 1585), Parigi 1960; G. Mazzoni, L’Edipo Tiranno all’Olimpico di Vicenza (1585), «Dionysus ex machina» 4, 2013, pp. 280-301.
[2] Cfr. A. Serra, Ciò che vogliamo dire. Appunti per una scrittura di scena, nel programma di sala della rappresentazione andata in scena al Teatro Olimpico il 27-28-29 settembre 2024, p. 4.
Dopo essere stato presentato il 27-28 aprile 2024 al Teatro Nazionale di Budapest nell’ambito del Madách International Theatre Meeting (MITEM), Tragùdia - Il Canto di Edipo ha avuto la sua prima nazionale italiana il 27-28-29 settembre al Teatro Olimpico di Vicenza nell’ambito del 77° Cciclo di Spettacoli Classici. Sarà messo in scena in vari teatri italiani tra cui il Teatro Arena del Sole di Bologna (17-20 ottobre 2024), il Piccolo di Milano (29 ottobre - 3 novembre 2024), il Teatro Stabile di Torino (19-24 novembre), il Teatro Massimo di Cagliari (22 gennaio 2025), l’Auditorium – Parco della Musica di Roma (3 febbraio 2025), il Teatro Due Spazio Grande di Parma (8-9 febbraio 2025) e il Teatro Nazionale di Genova (28-30 marzo 2025).