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Medea nome plurale

Metaia: con questo nome era chiamata in Etruria Μήδεια, Medea, due secoli prima che la tragedia di Euripide fosse rappresentata ad Atene (431 a.C.).

Metaia compariva su un vaso nero (bucchero), custodito nel buio di una tomba principesca di Cerveteri: era inciso sulla lunga veste regale di una donna che ringiovaniva un uomo. L’atto magico era per Giasone, l’amato. La scena faceva parte di una immagine più ampia che collegava la saga degli Argonauti – gli eroi al seguito di Giasone nell’impresa del Vello d’oro – e la figura mitica dell’ingegnoso Dedalo e che attraverso la raffigurazione di Medea e dei suoi poteri prodigiosi sottolineava il «ruolo fondamentale» della «figura femminile nella conquista [maschile] della regalità» (Greco Pontrandolfo, Mugione).

Questa immagine etrusca racchiude uno dei tanti percorsi del mythos di Medea, restituisce una delle tante ‘voci’ che hanno raccontato anche di Medee al di là della principessa barbara – non greca – responsabile dell’indicibile assassinio dei figli avuti da Giasone e cristallizzata in questo atto a partire dalla tragedia euripidea.

Se consideriamo il teatro degli ultimi vent’anni, alla Medea di Euripide, come quella diretta da Federico Tiezzi a Siracusa nel 2023 (qui), si sono affiancate sempre più numerose rappresentazioni di Medea costruite con altre ‘voci’, dialoganti con Euripide o senza Euripide. Restando al 2023 e a un altro iconico teatro antico, quello di Epidauro, il regista berlinese Frank Castorf ha rappresentato una Medea in cui Euripide è andato in scena con parti della trilogia di Heiner Müller – Verkommenes Ufer (Riva abbandonata), Medeamaterial (Materiale per Medea), Landschaft mit Argonauten (Paesaggio con Argonauti) – e materiali di altri autori. Nell’orchestra hanno dunque recitato «insieme cinque diverse figure con il nome di Medea». L’anomalo coro ha mostrato una Medea personaggio «polimorfo e plurale», non solo né semplicisticamente ‘madre assassina’. Abbiamo allora scritto (qui) che a Epidauro si è vista «la Medea di Castorf, non di Euripide né di un altro autore drammatico», si è assistito a «un confronto filosofico serrato, a tratti impietoso, con i sensi che si possono attribuire al mito euripideo interrogandosi anche oltre Euripide». Un’operazione in parte analoga è stata compiuta in precedenza da Antonio Latella nello spettacolo premio UBU Studio su Medea (2006): un lavoro che «esiliava in parte Euripide perché quello che interessava di più» al regista «era il mito scritto nel “corpo tragico” di Medea e nel “silenzio come atto rivoluzionario della straniera non compresa”. Euripide e la sua tragedia avevano costituito pertanto la scintilla per una ricerca teatrale che scavava piuttosto su alcuni temi e archetipi del mito poi teatralizzato da Euripide e che portava il re-thinking tragedy a dialogare con altro al di là dei miti greci e della tragedia di V secolo a.C.» (Viccei).

 

Sola (sole) in scena

Medea è un personaggio con cui le attrici amano misurarsi, spesso in un corpo a corpo serrato che le porta a essere sole in scena, unica compagna la musica. Di solito le interpreti lavorano su testi, per lo più su frammenti ri-composti o contaminati, prediligendo Medea di Euripide e per molti aspetti il suo contrario: il romanzo Medea. Stimmen (Medea. Voci) di Christa Wolf. Considerando di nuovo gli ultimi vent’anni e limitandomi all’Italia, fra le tante Medee per attrice sola andate in scena si possono citare quelle interpretate da Elisabetta Pozzi, Elisabetta Vergani, Lunetta Savino, Elena Cotugno, le attrici della Compagnia delle Donne del Muro Alto (ex detenute ammesse alle misure alternative alla detenzione, Casa Circondariale Femminile di Rebibbia), e ora da Anna Maria De Luca, protagonista de Le verità di Medea (29 settembre) nella I edizione del Festival del Mito e della Cultura Greca a Locri.

La lunga notte di auree verità

Cose che non possono essere nascoste e che non possono essere dimenticate; verità da portare alla luce perché risplendano come oro, quell’oro che si addice a Medea.

D’oro era fatto il mitico Vello, che Giasone mai avrebbe potuto conquistare se Medea, presa d’amore e forte di magia, non avesse aiutato il giovane greco. Giasone si imbarcò un giorno sulla nave Argo, accompagnato dai mitici Argonauti. Giunse nella barbara terra di Colchide per compiere l’ardua impresa del Vello d’oro. Medea aiutò lo straniero, lo sostenne in tutto; non esitò a mettersi contro il padre, il re Eeta, figlio del dio Sole, né a uccidere il fratello Apsirto, facendolo a pezzi e gettando le membra in mare così da costringere le navi di Eeta a fermarsi per recuperare i brandelli sanguinanti e a non inseguire più la nave che portava via dalla Colchide lei e Giasone.

Ma è questa la verità? La verità di una Medea assassina, con le mani rosse del sangue di un fratello dilaniato?  

Medea stessa (Anna Maria De Luca) dà risposte a questa e altre domande, su tutte a quella cruciale sull’infanticidio, ne Le verità di Medea (regia di Luca Maria Michienzi). Raccoglie frammenti poetici e teatrali di voci maschili – Euripide, lo scrittore calabrese Corrado Alvaro (Lunga notte di Medea) e altri – e femminili – fra cui Christa Wolf e Patrizia Filia – e li compone: da questa azione prende vita in scena una Medea uguale ad altre eppure non paragonabile a nessuna (drammaturgia di De Luca e Michienzi). L’intento è togliere dal corpo di Medea alcuni veli del mito e dei suoi usi e abusi, veli rossi di morte, ira, vendetta, gialli di gelosia, altri neri, di certa magia: veli pesanti che sono stati cuciti addosso alla principessa della Colchide e dai quali Medea/De Luca vuole liberarsi per liberare ciò che di Medea è nascosto e dimenticato.

Un momento chiave di questo atto di svelamento e di memoria è nella ripresa, attraverso variazioni, dell’inizio della Medea di Euripide nel quale le parole della nutrice esprimono il desiderio insistito di annullare il passato di Medea (versi 1-13), un passato che sta portando verso un futuro nero. Dei celebri versi («Oh, la nave Argo! Quanto vorrei che non fosse riuscita a oltrepassare le rocce oscure, le Simplegadi, per raggiungere la terra dei Colchi! Quanto vorrei che gli alberi di pino non fossero mai stati tagliati nella valle del Pelio, per fornire di remi i grandi eroi! Quelli che per ordine del re Pelia andarono alla conquista del Vello d’oro…») Medea/De Luca riprende il dolente movimento a ritroso e con ritmo martellante scandito da iterazioni, simile al ritmo euripideo, rivela: “io non ho ucciso Absirto… io non ho ucciso Pelia… io non ho ucciso Creusa… io non ho ucciso i miei figli”.

Le parole vengono dette con intensità, in un crescendo che avvince, e con l’intenzione di fissare ogni verità in modo permanente.

Il suono delle parole chiare e ferme si contrappone a quello silente delle parole (apparentemente) indecifrabili incise su tre lamine d’oro, antichissime, proiettate sul fondo della scena (spazio: De Luca; Michienzi). Perché questa scelta per marcare lo spazio teatrale? L’oro fa pensare al Vello da cui tutto è iniziato, oro benedetto-maledetto; rinvia all’oro del Sole, padre del padre di Medea; allude alla regalità di Medea, antica e nobilissima, e a quella voluta a ogni costo da Giasone che a Corinto abbandona la madre non-greca dei suoi figli per il potere, da ottenere sposando la figlia del re greco. Le lamine possono suggerire un significato, un altro, tutti: uno non esclude l’altro.

Queste lamine non sono state create appositamente per lo spettacolo ma sono un ‘recupero’ di un oggetto molto connotato e parlante. Provengono da Pyrgi, porto di Cerveteri – la città del vaso nero con Metaia –. Affisse in origine in un tempio, le tre lamine conservano un testo in etrusco e la sua versione breve in fenicio che si può estremamente sintetizzare così: il re di Cisra (Cerveteri) dedica il tempio alla dea etrusca Uni.

Quando vediamo uno spettacolo teatrale, un film, un quadro è inevitabile vederlo con i nostri occhi, la nostra sensibilità, con ciò che sappiamo e con la curiosità per ciò che non sappiamo. Inevitabilmente la parte della mia formazione da etruscologa mi ha portato a vedere le lamine di Medea anche come le lamine di Pyrgi e ugualmente per questa via la loro presenza mi è sembrata tutt’altro che estranea a Medea, soprattutto pensando alla sua condizione di straniera e di donna. Medea considerata ‘barbara’, non greca, come barbaroi furono spesso considerati Etruschi e Fenici dai Greci; Medea una donna sposata e abbandonata (ad esempio, Eur. Med. 509-513): una figura perfetta per la dea Uni che tutelava in particolare le donne e le nozze.   

A questo frammento etrusco che partecipa a Le verità di Medea se ne aggiunge un altro nelle parti dello spettacolo in cui Medea è la Medea di Christa Wolf figlia della «cultura matriarcale».

«[A]ttraverso lo studio dei vari filoni narrativi relativi alla figura di Medea», scrive Anna Chiarloni (qui), Wolf ha avuto conferma di «una sua intuizione […] di impianto femminista»: «[n]el corso dei millenni», diceva Wolf, «la figura di Medea è stata ribaltata nel suo opposto da un bisogno patriarcale di denigrare lo specifico femminile. Ma qualcosa non mi tornava: Medea non poteva essere un’infanticida perché una donna proveniente da una cultura matriarcale non avrebbe mai ucciso i suoi figli». Wolf, cioè, «parte dal presupposto che dal matriarcato non possano discendere pulsioni distruttive» (Chiarloni).

Matriarcato è stato un concetto ricorrente anche per spiegare la ‘libertà’ e il ‘potere’ delle donne etrusche sui cui favoleggiavano i Greci, spesso con toni aspri e di condanna. Quello che gli studi hanno dimostrato è in realtà più complesso e ha portato a un affrancamento dalla ponderosa trattazione sul matriarcato dello storico e antropologo Johann J. Bachofen che ha condizionato le ricerche sul ruolo della donna in Etruria. In Etruria non si può parlare di matriarcato ma si deve parlare di autorevolezza delle donne, riconosciuta e indiscutibile: di donne che nella famiglia e nella società non brillano di luce riflessa di mariti, padri, fratelli, degli uomini; di donne che hanno manifesta consapevolezza di se stesse; di donne che agiscono con lo stesso grado di dignità e legittimità dell’uomo.

Ora, tornando allo spettacolo di Anna De Luca e Luca Michienzi (regia), sono più simili a questi i tratti di Medea che mi sembrano risplendere tra i lampi d’oro della scena che non quelli di un indistinto e approssimativo ‘matriarcato’, e insieme a questi le pericolose e inaccettabili – per certi maschi – conseguenze del brillare di per sé di certe donne, dell’essere consapevoli del proprio valore e della legittimità dei propri pensieri, sentimenti, delle proprie azioni.

Nello spettacolo Medea non è solo autorevolezza e forza nel dare voce ferma alle verità, e non è solo luce dorata: è rosso sangue; è fragilità, timore, rabbia; è buio.

Di queste altre Medee lo spettacolo sa raccontare bene come altrettanto bene sa evitare il rischio di fare di Medea una figura tetragona. La forza teatrale di Medea/De Luca è soprattutto nella capacità di far sentire, con e attraverso le verità, l’amore dolceamaro, la dolceamara maternità, la paura dell’abbandono, l’infelicità, le nostalgie, la solitudine, l’ira, il dolore per non essere riconosciute, il sentirsi straniera ovunque, il senso della morte che si avverte quando non si è più compresi.

Tutto questo si è visto e ha risuonato, grazie anche allo splendido paesaggio sonoro di Remo De Vico, nella lunga notte di Medea a Locri.   

 

Le Verità di Medea

drammaturgia e spazio Anna Maria De Luca e Luca Maria Michienzi

con Anna Maria De Luca

paesaggio sonoro e composizioni digitali Remo De Vico

regia Luca Maria Michienzi

prodotto e realizzato da Compagnia Teatro del Carro

co-finanziato da Regione Calabria / Cultura MiC e Unione Europea con il patrocinio di Comune di Badolato

 

 

Sitografia e note:

Medea nome plurale

Sui significati dell’olpe di Cerveteri (630-620 a.C.) e sulla unicità hanno scritto ottimamente Angela Greco Pontrandolfo ed Eliana Mugione: “La saga degli Argonauti nella ceramica attica e protoitaliota. Uso e rifunzionalizzazione di un mito”. In: Le mythe grec dans l’Italie antique. Fonction et image. Actes du colloque International (Rome, 1996). Rome 1999, pp. 329-352; https://www.persee.fr/doc/efr_0223-5099_1999_act_253_1_5429

La citazione è tratta dal mio “Maschera e corpo: Medea secondo Luca Ronconi e Antonio Latella” (in corso di stampa).

Sola (sole) in scena

Elisabetta Pozzi ha incontrato Medea per la prima volta attraverso Christa Wolf. Ha interpretato Medea e le ‘voci’ in una lettura-spettacolo, ideata dalla stessa Pozzi e da Daniele D’Angelo, autore ed esecutore delle musiche (1997-98, 2000: ne parla qui). Ha interpretato la Medea di Euripide (INDA 2009: qui e qui), infine Medea da Euripide a Heiner Müller, senza dimenticare Christa Wolf (2017; 2021: qui e qui).

Elisabetta Vergani ha interpretato Medea di Christa Wolf (2007-08, 2010, 2016: qui e qui). Nel 2010, nell’ambito del progetto Ci vediamo in museo, da me ideato e curato, Elisabetta Vergani ha interpretato una Medea composita, da Euripide, Wolf, Müller, Corrado Alvaro, Pier Paolo Pasolini (2010, Museo Archeologico Nazionale Civitas Camunnorum).

Lunetta Savino è stata Medea di Euripide e di Antonio Tarantino in Per voci sole. Da Medea a Medea (2020: qui).

Elena Cotugno è stata interprete di Medea, testo di Fabrizio Sinisi e della stessa Cotugno (dal 2016: qui; qui e qui).

Medea in sartoria della Compagnia delle Donne del Muro Alto è una riscrittura che trae linfa da Euripide, Christa Wolf, Ovidio, Pier Paolo Pasolini (dal 2022: qui).

 La lunga notte di auree verità

La traduzione dei primi sei versi della Medea di Euripide è quella di Massimo Fusillo per la citata rappresentazione INDA 2022.

 

 

Suggerimenti bibliografici

La bibliografia su Medea è sterminata ed è molto difficile selezionare. Mi limito a qualche minimo suggerimento tra le pubblicazioni a partire dal 2000:

Bettini M., Pucci G. 2017, Il mito di Medea: immagini e racconti dalla Grecia a oggi, Torino.

Cipriani G. 2005, La voce di Medea. Dal testo alla scena da Seneca a Cherubini, Bari.

Gentili B., Perusino F. (a cura di) 2000, Medea nella letteratura e nell’arte, Venezia.

Rubino M., Degregori C. 2000, Medea contemporanea. Lars von Trier, Christa Wolf, scrittori balcanici, Genova.

Setti N. (éd.) 2007, Réécritures de Médée, Saint-Denis.

Taplin O., Hall E., Macintosh F. 2000, Medea in Performance: 1500-2000, Oxford

Tellini G. 2012, Storie di Medea. Attrici e autori, Firenze.

 

Per citare questo articolo:  Raffaella Viccei,  Le verità di Medea a Locri (Festival MitiCu!), Visioni del Tragico. Blog culturale e di ricerca, ISSN 2784-8736, 7.10.2024, link: https://www.visionideltragico.it/blog/contributi/le-verita-di-medea-a-locri-festival-miticu