Lame di luce tagliano il buio, metaforiche lacerazioni di dubbio e paura. Un urlo dilaniante apre e chiude il dramma: è una donna a gridare, come un animale ferito.
Nell’ Edipo Re di Sofocle, il coro è costituito dai vecchi tebani: qui invece, è costituito da voci che si alternano, di donne, di Creonte, di Tiresia, al contempo vate e messaggero (Roberto Latini). Dietro lastre opache si indovinano tre figure femminili: tra loro Giocasta, che pronuncia le prime parole della tragedia, invocando il Sonno di restituirle quel bambino che una volta le fu portato via e adesso è un uomo. Le si vede il seno, a mostra della sua femminilità e maternità. L’urlo inquietante di una vecchia e poi di Giocasta, madre e moglie mostruosa di Edipo, introducono la tonalità emotiva della regia (Andrea De Rosa) che, in un’ atmosfera onirica, vuole dare spazio e voce al femminile rendendolo al contempo elemento essenziale, decisivo, del mito tragico.
Voci femminili si alternano dunque sulla scena, asciutta e giocata su colori scuri e freddi – nero, grigio con riflessi blu e verde scuro, esaltati dai riflessi cangianti dei costumi (Graziella Pepe). I personaggi si nascondono dietro pannelli offuscati, forse a simboleggiare la differenza tra realtà e illusione, ma anche l’incapacità umana di vedere con chiarezza. Questi pannelli sono qui potenti costruzioni di senso, analogamente alla “struttura polisemica”, come ha scritto qui Raffaella Viccei, della scala bianca e ripida nella messa in scena dell’Edipo re di Robert Carsen a Siracusa 2022.
Il grido delle donne assume progressivamente altre modulazioni, dall’incomprensibilità alla chiarezza: dall’urlo lacerante si passa a formule in lingua greca, con cadenza di litania, fino a parole nitide e ben scandite. Le orecchie di Edipo diventano così recettori di suoni sempre più distinti, comprensibili, metaforicamente accecanti. Edipo (Marco Foschi), a poco a poco capisce, com-prende. Ecco allora che Edipo si staglia sulla scena in dialogo con le donne, con Creonte, con se stesso. La voce di Tiresia emerge come se provenisse dal subconscio: l’effetto è ottenuto con il ripetersi, a intermittenza, delle parole “sei tu” senza che il pubblico veda chi parla, senza che Tiresia sia apparso in scena. Nel testo di Sofocle, al v. 362, invece, è l’indovino a pronunciare le parole “Dico che tu sei l’assassino che cerchi”, nel corso di un dialogo con Edipo iniziato al v. 316. “Sei tu”: l’espressione echeggia martellante tra la scena e la cavea di Pompei; nella scelta di non farla pronunciare visibilmente da un personaggio, si condensa la sovrapposizione tra la parola del dio, quella di Tiresia, quella dell’inconscio di Edipo.
Il vate cieco appare in scena poco dopo, dietro il pannello-schermo: il suo volto è visibile e non visibile, effetto accentuato anche dai chiaroscuri creati dalle luci che si accendono e spengono in momenti pregnanti, a tradurre visivamente l’apparizione e la scomparsa della verità. Si percepisce dalle parole di Tiresia che la città era stata governata da una “dinamica di un’effettiva rimozione”, con volontario occultamento della verità da parte di chi sapeva (su questo vedi Davide Susanetti, Catastrofi politiche. Sofocle e la tragedia di vivere insieme, Roma 2011, p. 165.) .
Il nome di Apollo è continuamente invocato, variamente caratterizzato. I suoi molteplici epiteti presenti nella parodo dell’Edipo re (vv. 151-215) vengono condensati soprattutto in uno solo, “l’obliquo”, il Lossia, invocazione che viene come diluita in tutto il corso della rappresentazione. La parola di Apollo è molteplice ma una al tempo stesso, e nella mente di Edipo si affastellano le sollecitazioni, le domande, i ricordi, le paure. Egli non è capace di “vedere” la Furia che è in lui – è questo che gli rinfaccia Tiresia.
Il liminare sottile tra la razionalità e l’illusione, la realtà e la visione onirica, si mostra nell’alternanza e fusione di luci, riflessi, voci, urla e immagini di corpi che cadono a terra, con una varietà di modi che sta a indicare varietà di significati. Il primo a cadere è proprio Edipo: il suo crollo fisico traduce, con la forza dell’impatto corporeo sul suolo, il crollo della sua mente.
Perché questo Edipo ha soprattutto paura, una paura che condivide con Giocasta, interpretata da una sensuale e bionda Frédérique Loliée, che fa sentire la sua sympatheia anche attraverso la ricerca di un contatto fisico, pungente nella scena del bacio: Edipo le chiede ripetutamente se lei sappia chi sia suo padre; lei per metterlo a tacere lo stringe a sé in un lungo e caldo incontro di labbra. Gesto significativo, considerato che normalmente si evitava, nella messa in scena, “il contatto fisico tra i personaggi” (Anna Maria Belardinelli, Lo spettacolo teatrale dei Greci. Tecniche drammatiche e messa in scena, Milano 2023, p. 139). Questa fisicità va ad accrescere visivamente il senso di contaminazione che accompagna il μίασμα, quella “infezione” che è in Edipo, che è Edipo. “Tu sei infezione”, è l’espressione che risuona, terribile, di continuo nel buio: nel testo sofocleo, Creonte pronuncia per la prima volta questa parola al v. 97, poco dopo il suo ingresso in scena, ma non indica Edipo, poiché Creonte sta riportando gli ordini di Febo: espellere il μίασμα τεθραμμένον che trova nutrimento nella terra tebana.
La fisicità prorompe sulla scena e si esprime nel lungo e avvolgente abbraccio tra Edipo e la moglie-madre Giocasta. Il contatto fisico, che è anche contagio, si protrae fino a quando la verità diventa chiara, abbacinante, e Giocasta, dopo averne acquisito coscienza, cade riversa a terra: così ci si avvia alla scena del suicidio. La notizia della morte per impiccagione viene data contestualmente alla vista del corpo di Giocasta steso al suolo, dopo l’ultimo, viscerale abbraccio con Edipo: quel che accade dentro il palazzo si svela al pubblico e si sovrappongono così i piani interno-esterno, vissuto-raccontato, visione-oscurità.
Il resoconto dell’accecamento è breve e viene riportato mentre Edipo è in scena accanto al corpo della moglie-madre per cui chiede sepoltura: la violenza dei due momenti cruciali del dramma, la morte per impiccagione di Giocasta e l’autoaccecamento di Edipo con le fibbie d’oro dell’abito di lei, viene stemperata in un racconto essenziale e sobrio, privo di patetismi, così che l’atto violento non perda forza tragica e l’attenzione venga subito catalizzata dai problemi cruciali del disvelamento della verità e dell’ambigua parola degli dèi. Contro questa parola, fedelmente al dettato sofocleo, Giocasta si era scagliata a più riprese, prorompendo persino in un lungo riso dissacratore, tra rabbia e orrore.
Quest’ Edipo Re, spettacolo su cui certamente torneremo in questo blog, consiste in un unico atto che tiene il fiato sospeso, ponendo con un ritmo vertiginoso il problema della conoscenza, dell’inconscio, di un divino misterioso e terribile. Edipo e Giocasta hanno paura, gridano di aver paura. Se “il sapere è terribile, se non giova a chi sa” (cfr. Soph. Oed.r., vv. 316-317), solo alla fine si tirano le somme dell’esistenza: “Nessuno può dire felice un mortale, fino a che non sia arrivato l’ultimo giorno della sua vita” (Soph. Oed.r., vv. 1528-1530). Qui queste parole vengono pronunciate da Edipo ormai cieco, davanti a un pannello-schermo fra realtà e illusione che diventa anche specchio di ciò che si è, mentre il medesimo, atroce, bestiale grido, che aveva aperto il dramma, ora lo chiude.
Nello spettacolo le parole si susseguono in rigorosa concatenazione e la forza della parola arriva dritta al segno, rimbombando nel silenzio e nel buio della cavea. Anche per questo assume ancora più potenza tragica il grido tagliente come una lama che chiude il dramma di Edipo e sprigiona sprazzi di luce accecante, frammenti di verità, suoni che alla fine parlano più delle parole.
EDIPO RE
di Sofocle
traduzione Fabrizio Sinisi
adattamento e regia Andrea De Rosa
con (in o.a.) Francesca Cutolo (coro), Francesca Della Monica (coro), Marco Foschi (Edipo), Roberto Latini (Tiresia), Frédérique Loliée (Giocasta), Fabio Pasquini (Creonte)
scene Daniele Spanò
luci Pasquale Mari
suono G.U.P. Alcaro
costumi Graziella Pepe (realizzati presso Laboratorio di Sartoria del PICCOLO TEATRO DI MILANO – TEATRO D’EUROPA)
produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, LAC Lugano Arte e Cultura, Teatro Nazionale di Genova, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale