Le Troiane ed Ecuba, da Sagunto a Roma, attendendo Atene. Questo l’itinerario su cui si tesseva il filo del mito in una calda estate del 2003. Irene Papas aveva ricevuto la laurea Honoris Causa dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Tor Vergata l’8 giugno di due anni prima e in quello stesso edificio io avevo accolto con entusiasmo un incarico didattico per quei mesi estivi.
Stavo concludendo il mio primo anno di dottorato in “Antichità classiche e loro fortuna” e la professoressa Maria Grazia Bonanno, docente di Letteratura greca, mi propose di coordinare un seminario estivo che valesse come un approfondimento su alcuni fondamentali argomenti della drammaturgia classica e in particolare sul testo euripideo. Quel gruppo di studenti frequentava il corso di Laurea in Storia, Scienze e Tecniche della Musica e dello Spettacolo, coordinato dal professor Edoardo Bellingeri. Il centro tematico del Seminario sarebbe stato la Tragedia greca e la sua messa in scena, in una più articolata esperienza della comunicazione e della produzione di un evento culturale.
Il 27 febbraio del 2001, dopo un lungo lavoro ideativo guidato da Irene Papas e sostenuto dalle istituzioni pubbliche, era stata firmata la Convenzione di Valencia, con cui si dava vita al Progetto Europeo delle Scuole di Arte Scenica di Atene, Roma e Sagunto. Il Consorzio nasceva da un’idea ambiziosa e coraggiosa, che investiva sulla conservazione e sulla trasmissione del sapere antico alle nuove generazioni, per un riconoscimento consapevole di ciò che è lontano nel tempo ma vicino nel sentimento. Il manifesto culturale del Progetto prevedeva tre punti essenziali: il recupero e la valorizzazione della drammaturgia classica, il ricorso al metodo laboratoriale della “produzione come lezione”, la riqualificazione del territorio.
Il 21 settembre del 2001, nel vecchio stabilimento siderurgico del Porto di Sagunto, le Troiane inauguravano il ciclo della Trilogia. A Roma, seconda tappa del progetto, Irene Papas diventava di nuovo interprete di Ecuba, Santiago Calatrava ideava una monumentale scenografia, il compositore Vangelis firmava le musiche originali, Marina Karella, ispirata dall’iconografia greca, disegnava i costumi. La tappa finale del progetto sarebbe stata Atene, in occasione delle Olimpiadi del 2004, con l’Agamennone di Eschilo.
Lo spettacolo si articolava in una prima rappresentazione teatrale, le Troiane, cui seguiva la messa in scena di Ecuba. Il pubblico, grazie a una geniale intuizione scenografica del Teatro rotante di Manos Perrakis, seguiva la flotta greca su una piattaforma che rovesciava la prospettiva dello spettatore. Il pubblico navigava infatti dalla Troade al Chersoneso, con gli occhi di Ecuba riconosceva il cadavere di Polidoro e ascoltava la voce di Taltibio narrare il sacrificio di Polissena, che «vergine, cadde composta nel suo pudore» (Eu., Ecuba, vv. 569-570). Un abito nero e lucide parole di vendetta occupavano il buio: era la poetica del dolore, della riflessione amara sulla schiavitù e sul rovesciamento della condizione esistenziale.
L’intuizione di uno spettacolo antologico o seriale, cui corrispondeva una transizione del pubblico, evidenziava la volontà di sperimentazione che sosteneva questo spettacolo. Irene Papas, con apparente severità e con lucida fermezza, ha saputo tenere salda questa richiesta di tenace ricerca artistica. Ogni contributo allo spettacolo ha richiesto impegno e fiducia, errori e audacia. Non esisteva un’altra esperienza di così vasto respiro, che ponesse al centro la Tragedia greca e la aprisse alla lettura di tanti: degli studenti della Accademia teatrale “Silvio d’Amico”, inorgogliti e timorosi dinanzi alla statura della Papas, degli studenti di Tor Vergata, che hanno amato Euripide anche senza conoscere il greco, dei grandi nomi di artisti, politici e produttori che riconoscevano l’unicità di quella produzione e la potenza dell’arte quando è Arte, di me che avevo 24 anni e l’occasione di rileggere quella poesia ed esplorarla tra nuove radici.
Il sole di agosto ci ritrovò tutti stanchi, provati da lunghe giornate di prove per gli attori e di lezioni itineranti in un cantiere teatrale che prendeva forma. La dimensione metafisica trovava corpo nella scenografia, l’armonia tra parola e luogo definiva il senso di qualcosa che probabilmente solo Irene Papas ha sempre saputo e visto dall’inizio. Il progetto cresceva ogni giorno e mi ritrovai a svolgere mille ruoli, tra una lezione e l’altra del mio seminario. Le necessità e gli imprevisti del processo di produzione dettavano il ritmo frenetico di torride giornate estive, più cresceva la fatica e più si rafforzava una solidarietà di idee. Decidemmo che serviva una traduzione dallo spagnolo, firmata da Ramòn Irigoyen, all’italiano, un modo per aiutare il pubblico a seguire o a sbirciare sul testo; cercammo e trovammo una bravissima traduttrice, Giulia Canali. Il risultato fu interessante, perché quella traduzione era nata in maniera affrettata ma si rivelò poi una nuova occasione di riflessione sull’esperienza del testo. Lo spettatore ebbe in dono anche quello, se non sarà stato cestinato avrà offerto forse qualche domanda.
La narrazione dell’evento fu affidata anche alla realizzazione di un catalogo, un’edizione dedicata alla storia di quel progetto e di quella produzione. Mi occupai di quella pubblicazione con entusiasmo ma anche con il timore di non aver mai curato un volume di quel genere. La mia inesperienza si tradusse in una sperimentazione che diede vita a un volume che associava ai crediti e alle sezioni di presentazione degli attori il testo greco e la sua traduzione in spagnolo e in italiano. La selezione dei testi e delle immagini divenne l’appuntamento serale di un gruppo di lavoro che sugli scalini di un container intuiva la scelta giusta. Erano torride serate estive quelle del 2003.
Irene Papas si aggirava tra quei blocchi di lamiera, ma fermava il passo solo per poco, sapeva dire abbastanza solo con uno sguardo penetrante. Lei, che era stata Penelope, ora parlava con gli occhi di Ecuba. Ancora oggi è inconfondibile il ricordo di quello sguardo, aveva una sacralità che sembrava esprimere con fierezza la sua anima greca ed evocare, come in un rituale, quella e molte altre storie. Per lei questo progetto costituiva l’occasione per rivendicare la necessità che il nostro patrimonio culturale dovesse essere posto a fondamento della costruzione istituzionale e civica dell’Europa e dichiarava «Quando l’arte raggiunge le vette di Euripide, di Eschilo o di Shakespeare riesce a proporti cose che non ti offre oggi la vita nella società. In altre parole, può offrirti idee che ogni uomo potrebbe adattare alla sua vita per migliorarla».
La Scuola e lo Spettacolo divenivano allora l’esperienza laboratoriale della drammaturgia greca. C’erano giornate in cui si imparava molto da un acceso dibattito sulla scena. Durante le prove l’interpretazione attoriale diventava esercizio di esegesi del testo, di variazione sulla traduzione, talora arbitrarie altre volte inedite quanto convincenti. Ulisse finiva per dibattere a distanza con Quasimodo per capire Euripide.
Tutto si plasmava, si adattava e tutto sembrava gravitare in quegli occhi neri, di arcaica bellezza, che parlavano in spagnolo prima e in italiano poi, fermi e consapevoli. Le Troiane sono state rappresentate in lingua spagnola, sulla scena Irene Papas e la Fura dels Baus, una delle compagnie più famose nell’ambito dell’arte contemporanea di quegli anni. La danza espressiva potenziava il delirio profetico di Cassandra, quelle parole rimbombavano tra i 15 tubi metallici della scenografia, lì dove Ecuba accoglieva il corpo senza vita del nipote Astianatte.
Ecuba e Andromaca, Ecuba ed Elena, Ecuba e Agamennone, Ecuba e Ulisse, Ecuba e Polissena, Ecuba e Polimestore, Irene Papas e le sue mani, quelle che accecavano l’amico traditore, sollevate infine sullo schermo semicircolare dove i cavi elastici ondeggiavano sul cielo di Roma e vibravano evocando l’ombra di Polidoro.
Il 10 settembre del 2003, nel campus universitario di Tor Vergata, un’immensa area verde nel quadrante Sud-Est dell’area metropolitana, l’evento inaugurale de “La scuola di Roma” rivelò il potere della parola e dell’arte e la presenza della Papas sulla scena, in un prima e in un dopo, seppe rendere immenso e inconsolabile il dolore in cui sono insieme vinti e vincitori.
L'adattamento teatrale fu pubblicato in un volume che si reperisce ancora nel mercato dell'usato (ad esempio qui). Dalle illustrazioni di quel libro sono tratte le foto di questo post.