Bertolt Brecht scrive l’Antigone nel 1948 in Svizzera, mentre aspetta di poter tornare in Germania dopo 12 anni di esilio negli Stati Uniti. Per la sua posizione ideologica comunista, è sottoposto dagli Americani a processo, prima di ricevere il permesso di tornare a Berlino.
Non volendo complicare la sua già delicata situazione, sospetta sia agli Americani che ai Sovietici, decide di non mettere in scena una sua vecchia opera ma di lavorare su un classico, meno soggetto alla censura, e la scelta cade sull’Antigone che rilegge nella traduzione ottocentesca e visionaria del poeta Friedrich Hölderlin. Con il lavoro all’Antigone, Brecht dà inizio per molti versi al teatro contemporaneo.
L’Antigone di Brecht ha una trama diversa da quella di Sofocle. Creonte è il Re di Tebe, che per motivazioni economiche ha spinto la guerra sino ad Argo, con l’appoggio di tutto il suo popolo e specialmente della classe degli industriali, che dalla guerra pensa di trarre straordinari guadagni. I giovani maschi vanno tutti in guerra, ma Polinice, il nipote del Re, per paura o per disaccordo, ha disertato: Creonte lo accoltella e fa impiccare tutti i militari che potevano essere d’accordo con lui o ai quali quell’esecuzione non era piaciuta. L’esecuzione demoralizza le truppe, ma Megareo, il primogenito di Creonte, convinto assertore della guerra, spinge l’esercito nuovamente in guerra. I soldati sfondano nella città aggredita, che però, sia per la resistenza opposta dai cittadini, sia per la stanchezza dell'esercito aggressore, diventa una trappola. L’esercito di Tebe s’impantana e si confonde, non si riesce più a distinguere l’amico dal nemico. Megareo viene ucciso, non si sa se da mano amica o nemica. La propaganda aveva fatto credere a Tebe che la guerra era prossima alla conclusione, che il nemico sarebbe stato presto distrutto, e i giovani sarebbero tornati a casa portando straordinarie ricchezze. Giunge un soldato come messaggero della disfatta. Ma il discorso del soldato, che muore subito dopo aver raccontato l’orrore, non basta a porre freno alla follia del Re e di chi lo sostiene.[1]
Oggi 27 marzo 2022, trentaduesimo giorno della guerra Russa-Ucraina, in occasione della Giornata Mondiale del Teatro, ci sembra significativo rileggere il discorso del soldato-messaggero (vv. 1119-1163 dell’originale di Brecht).
MESSAGGERO
Signore! Tieniti forte! Sono
messaggero di sventura! Ferma la prematura festa
per una vittoria troppo presto annunciata! Il tuo esercito,
sconfitto in una nuova battaglia
davanti ad Argo, è in fuga.
Tuo figlio Megareo non c’è più. Fatto a pezzi
giace sul duro suolo di Argo. Quando tu
punisti la diserzione di Polinice e prendesti
i molti che nell’esercito biasimarono quell’atto
e li impiccasti pubblicamente e poi tornasti di fretta a Tebe,
proprio allora il tuo primogenito ci spinse nuovamente all’attacco.
I combattenti, non dimentichi del bagno di sangue nelle loro stesse file,
stanchi alzavano le scuri
ancora bagnate del sangue tebano
contro il popolo d’Argo. E troppi volti
si volgevano indietro, verso Megareo,
che per far loro più paura del nemico
forse li incitava con voce troppo rude.
Ma le sorti della guerra all’inizio erano con noi.
La battaglia però genera voglia di battaglia
e odora di sangue, il proprio e l’altrui,
e ubriaca. Quel che non può il coraggio
lo può la paura. Ma giocano un ruolo anche il terreno,
gli armamenti e il cibo.
Signore, il popolo d’Argo si è battuto con astuzia.
Combattevano le donne e combattevano i bambini.
Pentole, da tempo ormai vuote di cibo,
ci furono lanciate addosso dai tetti inceneriti, piene d’acqua bollente;
furono date alle fiamme alle nostre spalle
anche le case rimaste intatte, così che si pensasse che nessuno
mai più le avrebbe più abitate.
Attrezzi da lavoro e case divennero arnesi da trincea e armi.
Ma tuo figlio ci spingeva ancora e ci spinse nella città,
che devastata si trasformò in una tomba.
I cumuli di macerie cominciarono a separarci.
Fumo dai quartieri già presi, mari di fuoco ci offuscavano la vista.
Fuggendo il fuoco e cercando il nemico, incappavamo invece nei nostri.
Nessuno sa per quale mano cadde tuo figlio.
Il fiore di Tebe, tutto è scomparso
e Tebe non può più a lungo esistere, perché adesso
arriva il popolo di Argo con uomini e carri
su ogni strada.
E io, che l’ho visto, sono felice di esser giunto alla fine.
(muore)
[1] Per l’Antigone di Brecht nella cornice delle ricezioni dell’Antigone di Sofocle dopo la seconda guerra mondiale vedi: Sotera Fornaro, L’’ora di Antigone’ dal Nazismo agli anni di piombo, 2013.
Le immagini, tratte dal web, sono della campagna di Russia e dell'assedio di Stalingrado e Kiev durante la Seconda Guerra Mondiale. In copertina il teatro di Mariupol.