Claus Hubalek (1926-1995), mandato giovanissimo al fronte durante la seconda guerra mondiale, dopo un periodo di prigionia studiò filologia e divenne insegnante.
Nel 1947-1948 pubblicò i suoi primi racconti, legati alla sua esperienza della guerra e ai problemi di reintegrazione dei reduci; ma acquistò notorietà in seguito con le sue opere drammatiche e le sue sceneggiature per la TV e per il cinema (oltre trentun titoli sino al 1989). Non abbandonò mai i temi dell'assurdità della guerra, dell'insensatezza della disciplina militare, degli effetti traumatici, ma anche grotteschi, dell'essere obbligati alle gerarchie militari e civili, delle responsabilità individuali e collettive nei crimini di guerra. Fu un allievo di Brecht, riuscì però a passare nella parte occidentale della Germania, dove diventò nel 1968 il drammaturgo principale del Deutsches Schauspielshaus di Amburgo. Ebbe il merito di portare sia sulla scena teatrale, sia in quella del più ampio pubblico televisivo temi allora molto scomodi, che riguardavano il recente passato europeo, come la deportazione, la Shoah, il consenso al nazismo. Al di là del loro valore artistico, i drammi e le sceneggiature di Hubalek richiamavano l'attenzione sulla correità della gente comune, che aveva fatto finta di non vedere o era rimasta indifferente davanti ai campi di sterminio o alle sparizioni degli oppositori, e sulla sopravvivenza anche nel dopoguerra nella società tedesca della mentalità razzista e fascista che era stata alla base del successo del nazismo e delle spontanee delazioni alla Gestapo. In questo filone di teatro della memoria, che è anche teatro d'inchiesta e documentario, si inquadra la pièce L’ora di Antigone, che qui presentiamo. Praticamente sconosciuto in Italia, ma anche in Germania, il dramma fu sceneggiato dallo stesso Hubalek e diventò nel 1960 un film per la TV. Lo scopo del dramma è ricordare ai tedeschi le deportazioni di massa compiute durante la guerra per foraggiare con 'materiale umano' l'industria bellica e non solo (vedi oltre). Il tema e la struttura della pièce dipendono palesemente dall' Antigone di Brecht. La vicenda della tragedia di Sofocle è attualizzata, con un richiamo evidente alla discussa tragedia di Jean Anouilh, che era andata in scena nella Parigi occupata nel 1944. La storia si svolge in un piccolo paese, noto ai turisti per le terme, all'inizio della stagione estiva. Le informazioni principali sulla vicenda sono date dal Dottor Tiresia, il medico della casa di cura locale, a imitazione dell'Antigone di Brecht nella versione del 1951.
(Sul palcoscenico si vedono: un parco termale con le aiuole e un monumento ai caduti; la camera di Ismene e di Antigone; l’ufficio di Creonte. A destra il pavillon per un'orchestrina.Il maestro dell’orchestra e i musicisti indossano una specie di livrea. Una locandina pubblicitaria invita: ‘Visitate le terme internazionali di Tebe!’ Quando si alza il sipario c’è un gruppo di persone in scena. Parlano tra loro sottovoce, qualcuno legge il giornale o sta fermo, con lo sguardo imbambolato. Dal gruppo si stacca un uomo anziano e viene avanti sulla scena verso il pubblico)
DOTTOR TIRESIA: Mi chiamo Tiresia, Dottor Tiresia. Sono medico in una casa di cura. Qui A Tebe, la città famosa per le terme.
(Indica gli altri personaggi)
Quelli lì reciteranno una vecchia storia. Non sanno di ripetere una storia già accaduta. Io vi presi parte anche allora, e poi adesso. Solo io so come va a finire.
Il mio ruolo perciò è quello più difficile, il ruolo di chi non ha speranza… Perché io, io so…
So tutto e non potrò impedire nulla. Vorrei gridare a quelli lì che sono in scena: non cominciate a recitare! Non agite! Pentitevi, ravvedetevi. Se anche lo dicessi, sarebbe inutile. Nulla può trattenerli, ormai... La storia deve andare avanti.
(Indica un personaggio)
Il vecchio che legge il giornale – quello è Creonte. Il sindaco di Tebe.
Quando i nazisti presero il potere, Creonte fece fuori Edipo. Edipo fuggi ad Est - si racconta.
Nessuno che conosca Creonte si ricorda di averlo mai visto in difficoltà. Nemmeno allora, un periodo che Tebe vuole cancellare dalla memoria. Quando i nazisti presero il potere e Edipo fu cacciato.
Nemmeno allora Creonte fu in difficoltà.
Creonte comanda, senza farsi problemi. Creonte non si è mai chiesto che senso abbia comandare, stare al governo. Non sa perché è al potere, non si chiede il senso del comandare. Lo fa, semplicemente, senza che ci siano ragioni ideali.
Però ha una notevole capacità di far andare le cose per il verso giusto. Risolve tutti i problemi.
Quando si sveglia, al mattino, e il suo sguardo cade su questa piccola città e sui pendii boscosi che la circondano, è contento che Tebe esista – Tebe è una sua creazione, una sua opera, una sua cosa.
(Indica un altro personaggio)
Quello in uniforme, quello vicino a Creonte, è il capo della polizia. Ama il vino e ama la pensione, e spera di arrivarci quanto prima possibile.
Ne ha abbastanza del rispettare oppure infrangere la legge qui a Tebe, a seconda di come ordina Creonte. Creonte è il capo, lui obbedisce e basta.
Vuole finalmente stare tranquillo. Non ha idea di quel che gli capiterà. (Mostra un altro personaggio)
Quel ragazzo pallido, dall’aspetto malato, è Emone. Il figlio di Creonte. È tornato a Tebe da un paio d’anni. Dalla prigionia in Russia. Lì lo avevano condannato a molti anni di lavori forzati. Ma Emone era innocente.
Nei primi tempi, dopo il suo ritorno, non parlò con nessuno, tranne che con Antigone.
Erano cresciuti insieme. A lui sembrò l’unica che lo volesse e potesse capire.
E cominciò ad amarla. Con la forza disperata di chi non si ritrova più a suo agio in questo mondo. Si vogliono sposare al più presto.
Creonte ha già comprato un cavalluccio di legno per il nipotino che nascerà da loro due. Ma non ci sarà un matrimonio, né nipotini.
(Indica un altro personaggio ancora)
La ragazza che guarda verso l’orchestra si chiama Ismene. È la figlia minore di Edipo. Ama i vestiti e gli specchi, nei quali può ammirarsi; è bella. A Tebe si annoia ed aspetta un uomo che la porti via da qui. Talora si ricorda di quel giorno lontano. Della lama di luce sotto la soglia del bagno e della madre, che si era impiccata con la cintura dell’accappatoio. Giocasta non volle sopravvivere alla separazione da Edipo. Allora Creonte accolse a casa sua le due orfane. Forse perché si voleva dimostrare umano, generoso.
(Entra il direttore, si situa davanti all’orchestra, batte ed alza la bacchetta) DOTTOR TIRESIA: Non ho ancora finito, signor direttore!
(Il direttore si inchina. I musicisti depongono gli strumenti)
DOTTOR TIRESIA: Debbono provare. Domani a Tebe si apre la stagione turistica. (Fa una piccola pausa, quindi continua ad indicare)
Lì in disparte, da sola – ecco, quella è Antigone.
Tutti noi, che la conosciamo sin da quando era bambina, non sapremmo dire su di lei niente di preciso. Sembra che si accontenti di esistere. Con la stessa pazienza silenziosa con la quale un tempo giocava con le bambole, adesso ama Emone. Il ragazzo è per lei un giocattolo.
Vorrei avvicinarmi a lei. Prendere il suo viso tra le mani e dirle: lascia stare! Non fare quel che stai per iniziare a fare! Non farlo! Continua a servire la colazione a Creonte, che ti ha cresciuta. Servigli la colazione ogni mattino, come fai da anni. Digli buon giorno con tenerezza. Lui ti ama, lo sai. Lui ama solo te al mondo.
(Fa una piccola pausa)
Ecco, ho presentato tutti quelli che avranno una parte in questa storia.
(Due uomini muscolosi avanzano sul proscenio. Restano fermi, come in segno di sfida)
DOTTOR TIRESIA: Ah, è vero. Ho dimenticato questi due. Le guardie. (Si gira verso di loro) Bene, potete andare. Non abbiamo ancora bisogno di voi.
(I due restano fermi, come se non avessero sentito) DOTTOR TIRESIA (gridando): Via!
(I due obbediscono e scompaiono dietro la scena)
DOTTOR TIRESIA: Ho torto nell’innervosirmi, quei due fanno solo il loro lavoro… (Fa una piccola pausa) Però mi ricordano la mia colpa e la mia viltà. (Fa di nuovo una piccola pausa)
Tutto cominciò con la morte dei due figli di Edipo, negli ultimi giorni di guerra. Polinice ed Eteocle erano fuggiti. Ad Eteocle riuscì di andare oltreoceano. Edipo fu ucciso, non si sa bene dove e quando. Ma Polinice fu catturato in Russia, fu riportato in patria. Lo Stato tedesco lo riprese tra i suoi. Fu riportato in città. Lavorava. Ma a un certo punto sparì. Si racconta una storia, sulla sua fine. Eccola.
Nell'ultimo anno di guerra. Gli alleati avanzavano. Arrivarono a Tebe. I due fratelli si incontrarono di nuovo, allora.
Eteocle portava l’uniforme degli americani. Polinice indossò la nostra uniforme. Credeva ancora a Hitler - così dicono. Ci furono combattimenti. Poi gli alleati entrarono in città. Eteocle morì combattendo, non rivide le sorelle.
Ma anche Polinice è morto. Non si sa bene come. Pare che difendesse la città, che gridasse 'Heil Hitler' ai nemici. Voleva fare l'eroe, proprio quando tutto era perduto.
Il cadavere di Eteocle fu sepolto dai cittadini di Tebe liberata e giace in pace nel cimitero pubblico.
Il cadavere di Polinice stranamente non fu mai trovato. Forse esplose su una granata. Niente corpo, nessun funerale. Polinice si era trovato sempre dalla parte sbagliata. (Fa una pausa. Quindi si gira verso il pavillon). Questo è quello che si racconta.
Ho finito, direttore. Adesso può dare inizio alle prove.
(Il direttore alza la bacchetta. Risuona un valzer. Lentamente gli attori lasciano la scena. La musica continua per un po’. Quindi smette)
Antigone esce all’alba, vestita elegantemente, indossa abiti di Ismene. Si è fatta bella. La sorella, che condivide con lei la stanza, si accorge che sta uscendo di casa, e crede che vada a incontrare un amante, tradendo Emone. Antigone e Ismene sono ben integrate nella famiglia di Creonte. Tuttavia un legame dai tratti incestuosi lega Creonte ad Antigone, che è la sua preferita. Ogni mattina si svolge un rito: la ragazza serve la colazione al sindaco, parlano tra loro con una strana intimità. Creonte nota, quella mattina, che Antigone è nervosa, crede che sia incinta del figlio Emone, e parla già contento del futuro nipotino. Antigone invece è agitata perché depositaria di un tremendo segreto, che le è stato rivelato dal giardiniere del parco in punto di morte: l'uomo che ha rivelato che Creonte ha ucciso Polinice, quando la guerra stava per finire, e lo ha sepolto nel parco, nella terra ricoperta di aiuole sotto al monumento dei caduti. Il corpo di Polinice, invero, era scomparso, nessuno sapeva dove e perché precisamente fosse morto. La mancanza del corpo del fratello era un cruccio per Antigone, che aveva cercato di sapere. Da quando il giardiniere le ha rivelato la verità, Antigone compie ogni mattina all'alba un gesto infantile, ma dimostrativo: scrive col gesso il nome di Polinice sul monumento ai caduti per la guerra, che campeggia al centro del parco. Così pensa di rivelare a tutti che Polinice non è scomparso, è sepolto lì sotto, proprio nel cuore del parco termale. Il capo della polizia si accorge di quel nome scritto sul monumento in maniera leggibile; ogni mattina lo cancella, poi riferisce a Creonte di quel gesto ed appare molto preoccupato. Creonte ostenta tranquillità ed indifferenza.
POLIZIOTTO (lentamente): Se… questo fatto, se questa scritta con il nome di Polinice non sparisce… se… se si scopre qualcos’altro… se… se viene fuori che… Creonte… io… io… (si interrompe)
CREONTE (tranquillo): Continua…
POLIZIOTTO: Ho sempre fatto quel che mi è stato ordinato. CREONTE (lo guarda silenzioso)
POLIZIOTTO: Ho testimoni, che ho fatto solo quel che mi è stato ordinato. Che non ho nessuna responsabilità. Che non ho agito di mia iniziativa,
CREONTE (continua a guardarlo silenzioso)
POLIZIOTTO: Tutta Tebe può testimoniare che io ho sempre fatto solo quello che mi era comandato!
(Pausa)
CREONTE: Quel che ti era comandato… – si, si, lo so bene. Sono io che ho dato l'ordine. Non hai bisogno di nessun testimone. (Lo guarda quasi prendendolo in giro) Non aver paura. Nessuno ti farà niente. Non ne varrebbe la pena. E poi: sai quanti ce ne sono nella tua situazione?
POLIZIOTTO: Grazie, Creonte. Ti ringrazio. (Mormora) Noi abbiamo sempre agito per il bene di Tebe.
CREONTE (si alza): Abbi fede, non verrà fuori niente. Capisci? Non si saprà niente di Polinice. Vuoi goderti libero la tua pensione, non è vero? Lo farai. Tebe può star tranquilla. Dobbiamo solo scoprire chi è che vuol turbarne la pace con quel gesto insensato. Non ti muovere più dal giardino. Aspetta, sino a che quel tipo sconosciuto si avvicina di nuovo al monumento e scrive il nome di Polinice col gesso. Allora prendilo e portamelo qui. Sono ancora abbastanza forte per fare del male…
Antigone intanto confida alla sorella la verità. Ismene non vuole credere al racconto di Antigone. E se anche fosse vero, sarebbe meglio dimenticare tutto.
ISMENE: Ma come fai a sapere che è vero quel che ti ha raccontato il giardiniere? Forse è una bugia….
ANTIGONE: No, il giardiniere non ha mentito. È vero. Creonte ha ucciso nostro fratello. (Pausa)
ISMENE: Antigone, sono passati tanti anni da allora. ANTIGONE: Sì.
ISMENE (cauta): Oggi vediamo le cose diversamente, non è vero? ANTIGONE: Diversamente?
ISMENE: Voglio dire, dovremmo finalmente dimenticare. ANTIGONE: Dimenticare?
ISMENE: È umano.
ANTIGONE: È comodo. Chi dimentica i crimini, dimentica anche quelli che li hanno commessi. Ma i colpevoli sono ancora tra noi. Addirittura sono al governo di Tebe. (Fa una pausa) Ismene, non nasconderti dietro al passato…
ISMENE (si alza, va da una parte e dall’altra, quindi si ferma): Non ho affatto bisogno di nascondermi. Semplicemente, non ci credo.
ANTIGONE (ride)
ISMENE: Non posso crederlo. ANTIGONE (ride)
ISMENE: Smettila di ridere. Di far la superiore. Hai un orgoglio smisurato. Come se ne provassi piacere. Rispondimi, dimmi: perché Creonte avrebbe dovuto farlo?
ANTIGONE: Lo ha fatto. ISMENE: Perché?
ANTIGONE: Me lo dirà.
ISMENE: Dunque: non lo sai. Semplicemente perché non ce n’era motivo. (Fa una piccola pausa) Antigone – e se anche dovesse esser vero, rimetteresti tutto in gioco?
ANTIGONE (calma): Sì. ISMENE: Anche Emone? ANTIGONE (calma): Sì. ISMENE: Tutto il tuo futuro? ANTIGONE (calma): Sì.
ISMENE: Sei come nostro padre. Anche lui ha messo tutto in gioco. Anche noi, Antigone. La nostra famiglia, che ha distrutto. È sua la colpa, se sono finiti così miseramente la mamma, Eteocle, Polinice.
ANTIGONE: Non è colpa sua. Ismene, smetti di capovolgere la verità. Nostro padre fu mandato via perché denunciò a voce alta che a Tebe accadevano cose ingiuste. Edipo è riuscito a scappare, lo avrebbero comunque ucciso. Lui non voleva i nazisti. Li odiava. È lui il colpevole? O sono loro i colpevoli? Possiamo dimenticare cosa hanno fatto? E poi, Creonte... deve confessare. Ha ucciso nostro fratello.
Antigone però non può più fermarsi, deve agire perché ‘ha fatto una promessa a se stessa.’
Tiresia, rivolgendosi al pubblico, svolgendo la funzione del narratore in terza persona, assiste e racconta l'inizio della catastrofe.
DOTTOR TIRESIA: Sono le quattro. L’ora di Antigone. (Va sul proscenio)
Lei è già sveglia. Ha aperto cauta la porta dell’armadio, per non svegliare con il suo cigolìo la sorella Ismene. Oggi non c’è più niente di cui discutere. Oggi è tutto deciso. Adesso si guarda nello specchio. Indossa il vestito più bello di Ismene. Va verso la porta. Esita… Esce dalla casa. All’alba. Antigone, Tebe oggi si è svegliata presto, come te. Sorge un giorno pieno di speranze. L’apertura della stagione turistica. […] Ma Tebe, oggi, farà qualcos’altro – oltre a festeggiare l’inizio della stagione turistica. Contesterà il tuo gesto, Antigone. Tu non conosci Tebe, la sua brutalità. Sento già i suoi passi.
Le ‘quattro del mattino’ : l’ora di Antigone. Antigone è colta sul fatto mentre scrive il nome del fratello Polinice sul monumento. Il poliziotto la cattura, la porta da Creonte, che minimizza e tratta la nipote come si farebbe con un bambino discolo colto a fare una marachella. Cerca così di salvarla. Le promette di dare gli onori funebri anche a Polinice, sebbene – afferma – il corpo non sia stato trovato e c’è sempre la speranza che ritorni. Polinice è sparito, nessuno sa che fine ha fatto. Ma se proprio ci tiene, celebreranno un funerale senza corpo. Antigone, allora, lo accusa di mentire e gli sbatte la verità in faccia. Polinice è stato assassinato da lui in persona, e lei è disposta a scavare a mani nude per riesumarne il corpo. Sa che è sepolto nelle aiuole sotto al monumento. Vuole solo sapere perché l'ha fatto. Creonte si mostra allora esasperato. Chiede il perché di quelle parole insensate, perché cercare di riesumare non solo un corpo che non c'è ma tutto passato intero: Antigone risponde che è un suo dovere, non solo nei confronti di Polinice; è un dovere denunciare ai cittadini che il loro sindaco è un assassino. Creonte deve confessare il suo crimine e dire perché l'ha fatto. Antigone, però, sa solo una parte di quel che è accaduto: la sua denuncia svela, come in un gioco di scatole cinesi, altri crimini ed altre verità. La risposta di Creonte si dipana in un crescendo di rivelazioni.
CREONTE (guardando dalla finestra): […] Confessare quel che ho fatto. Svelare un segreto. (Fa una pausa) Ma si, lo farò, forse. Sì, forse non mi opporrò più a te. Sono vecchio, ormai. Non mi spaventa quel che può a accadere. (Di nuovo fa una pausa) Ma svelare la mia azione significa anche portarne alla luce un’altra. Nella quale tutti sono coinvolti. Sì, Antigone, tutta la città. Sono il loro sindaco. Ho anche il dovere di proteggerli. (Di nuovo fa una piccola pausa) Di proteggerli dalla verità, che distruggerebbe Tebe. (Si volta verso di lei) Il giardiniere ti ha detto che ho ucciso tuo fratello. Sì, l’ho fatto. Ma ti ha anche detto perché l’ho fatto? Perché ho dovuto farlo? Ti ha detto che era in gioco la nostra vita? La vita di tutti? (Le si avvicina e le resta molto vicino) Tu vuoi riesumare a mani nude il morto, nel parco. Fallo, Antigone; ma devi sapere che sotto le aiuole non c'è solo il corpo di Polinice.
(Pausa)
ANTIGONE (indifferente): Chi, chi altro ancora sta lì sotto? Chi è sepolto lì?
CREONTE: I lavoratori stranieri, i deportati che vennero a lavorare da noi durante la guerra.
ANTIGONE (ripete): I lavoratori stranieri. Me li ricordo. (Fa una piccola pausa) I russi, i polacchi.... C'erano anche donne, bambini. Non tornarono a casa, vero? Sparirono, prima della fine della guerra. Li avete uccisi. Perché, Creonte? Perché?
CREONTE (tace)
ANTIGONE: Perché li avete uccisi? Rispondi. – Vivevano qui. Morivano di stenti, di fatica, di un lavoro senza tregua. Ecco perché, ho capito: quando la guerra stava per finire, avevate motivo di temere la loro vendetta. È così, vero? Loro avrebbero potuto vendicarsi, e comunque vi avrebbero denunciati, tutti sareste finiti sotto processo, tutti. Allora ve ne siete liberati.
CREONTE (tace) ANTIGONE: E Polinice? CREONTE (non risponde)
ANTIGONE (ripete): E Polinice? CREONTE: Lui aveva visto. Lui sapeva. Lui cercò di opporsi. Ma farli fuori era l'unica soluzione. E poi cos'erano? Schiavi, nulla più. Ci servivano, li abbiamo usati. E poi: non ci era stato chiesto il nostro parere. Ce li avevano mandati. Non siamo stati noi a volerlo. Era necessario per la guerra. Ma quando le cose volsero al peggio, quando gli Americani erano già alle porte, cominciammo ad avere paura di loro. Erano pericolosi, pieni d'odio. Poi arrivò un ordine. Dovevamo liberarcene prima che arrivassero gli americani. Ma Polinice scoprì il nostro piano. Voleva impedircelo.
ANTIGONE: Vai avanti, Creonte.
CREONTE: Lo prendemmo, voleva passare al nemico. Voleva svelare tutto. Aveva fatto fotografie. Aveva le prove. Era un traditore, ecco tutto. (Pausa)
ANTIGONE (con lo sguardo fermo, fisso): Mi ricordo i primi giorni dopo la guerra. La calda estate incipiente. Noi bambini giocavamo nel parco. Voi… voi eravate intenti a costruire le aiuole, a piantare fiori, fiori colorati. Fu la prima cosa che faceste quando la guerra è finita. Mettere aiuole – sopra… sopra una fossa comune. Adesso capisco. Li avete uccisi, tutti. E Polinice con loro. (Si copre il viso con le mani) Ed io ho vissuto tra voi...
Antigone è sconvolta ma non rassegnata. Arriva Emone; Antigone crede di poter avere soccorso da lui. Ma quando Antigone dice ad Emone che non potrà mai essere sua moglie, e che ha il dovere di portare a termine qualcosa, Emone capisce, e rivela di essere sempre stato anche lui a conoscenza di quei fatti, sin dal giorno del suo ritorno dalla guerra.
EMONE: Antigone, cosa ci importa? Cosa ci importa dei crimini dei nostri padri? Della fossa comune?
ANTIGONE: Perché lo hai detto? Perché Emone? (Sfinita, si passa la mano sulla fronte) Se avessi detto: te l’ho taciuto perché ti amo, e perché temevo per il nostro amore… (fa una pausa) Devo andar via. Via da voi tutti. Devo andare da Polinice.
Emone fa un ultimo favore ad Antigone. Mente al padre, dice che la ragazza si è chiusa in camera sua. Antigone, invece, è tornata al parco, dove è stata colta a scavare a mani nude nella terra, e ritorna portata dai poliziotti con un aspetto orribile:
ANTIGONE (cerca di mettersi in ordine i capelli con la mano libera): Sono orrenda, vero? Sì, sento di avere un aspetto orribile. (Fa una pausa) Emone, adesso sarò ancora più repellente. E lui (indica il poliziotto) è stato molto violento. (Fa di nuovo una piccola pausa) Tutti sono stati molto rozzi con me. Sai, non dimenticherò mai l’orrore nei loro visi… e l’odio… quando ho detto che ero venuta a resuscitare i morti…
EMONE: Aspetta, Antigone. (Tira fuori il fazzoletto e vuole pulirle il volto) ANTIGONE (ritrae la testa): No. Ti prego, no. Non togliere la terra. (Fa una piccola pausa) Perché mi guardi così? (Cerca di ridere) Emone… persino adesso sono ancora vanitosa. (Improvvisamente) Per favore, va’ via.
EMONE: Non me ne vado. ANTIGONE: Va’ via, Emone. EMONE: No.
ANTIGONE: Non vedi che la tua presenza mi tortura?
EMONE: Antigone, qualcuno deve pur stare dalla tua parte. Dimentica quel che ho detto prima. Voglio aiutarti. Farei qualsiasi cosa per te. Non mandarmi via adesso.
ANTIGONE: Vai via, Emone. Se mi ami. Se mi ami ancora.
Ma ecco che irrompe il ‘coro’, cioè i cittadini di Tebe che sa quello che è accaduto, ha paura di dover pagare per i crimini commessi e manifesta sotto la casa del sindaco. Il capo della polizia è il corifeo. I cittadini non si fidano più di Creonte, troppo affezionato ad Antigone. Tiresia comunica al sindaco quel che hanno deciso: è necessario liberarsi di Antigone. Non pensano di ucciderla, ma di rinchiuderla in manicomio grazie ad un’attestazione medica che ne dichiari l’infermità mentale. Creonte cerca di convincere Antigone a scappare. Nell’ultimo dialogo, Creonte rivela di amare profondamente la ragazza, più di quel potere che esercita solo per adempiere un dovere verso la città. E tuttavia si giustifica ancora: ha ucciso i lavoratori stranieri e Polinice perché era un atto necessario. Doveva salvare la città dall'infamia e dalla prigione.
CREONTE: Non ho avuto il minimo pentimento. Sono sempre ancora convinto che allora non potevamo comportarci diversamente. (Pausa)
ANTIGONE: Ed oggi? CREONTE (non risponde)
ANTIGONE: Ed oggi, Creonte? Oggi sarebbe di nuovo necessario, uccidere qualcuno, vero? Ma non è più così facile. A Tebe non si spara più e non si sotterra più nessuno. A Tebe sta per aprirsi la stagione turistica. Davanti ai miei occhi, Creonte.
Intanto arriva in stazione il treno che porta i turisti. Sta per iniziare il ballo che inaugura l’estate. Sopraggiungono gli infermieri che devono condurre via Antigone, che capisce quale destino le è riservato. Anche Ismene entra in quel momento: ma è confusa, crede persino che Antigone sia davvero malata di mente. L’atto di denuncia della pièce è terribile: nulla è cambiato dai tempi della guerra. La società si basa ancora sulla complicità e sulla delazione. Menzogna e finzione sono dappertutto, ed anche se non si uccide più, si trovano altri terribili mezzi per liberarsi di chi è scomodo. Ed è scomodo chiunque dica la verità, una verità che nessuno vuol sentire. Antigone ha paura, chiede a sé stessa perché non venga a compromessi. Ma Creonte non potrà dimenticare, sta distruggendo l’essere umano che più ama, Antigone, e questa è la sua vera punizione, più terribile della prigione. Antigone è portata via ed il capo della polizia, ubriaco, chiama Creonte perché dia inizio al ballo inaugurale della stagione estiva. Non è finita. È Tiresia, ancora, a raccontare il seguito. Nei mesi successivi, un’amnistia libera Creonte e i cittadini da ogni colpa. Non si ha più paura del passato, i crimini sono stati perdonati anche dalla nuova giustizia. Emone va subito in manicomio per riportare a casa Antigone. Ma nel frattempo la ragazza è davvero impazzita, la luce dei suoi occhi è spenta, non vede più la realtà. Scambia Emone per Polinice, e quando questo capisce che Antigone non ragiona più, accetta di immedesimarsi nel ruolo del fratello. Si lascia mettere al collo una corda, e i due muoiono insieme nella cella. È Tiresia a portare la notizia a Creonte: ‘La stella [di Antigone] stava per sorgere a Tebe. Una stella chiara, bella, luminosa. Ma noi l’abbiamo spenta. Di nascosto, senza che nessuno se ne accorgesse. Come se non avesse mai brillato.’
Un’Antigone scomoda
Con la sua pièce Hubalek denuncia il problema degli stranieri, circa venti milioni di persone, che furono indotti ai lavori forzati dai nazisti, deportati da tutta Europa, e impiegati come schiavi dappertutto in Germania. Chiunque ne era a conoscenza, perché furono impiegati non solo nell'industria bellica, ma anche nell'agricoltura, nelle costruzioni, persino a servizio dei privati in tutti i luoghi della Germania, anche nella provincia più sperduta e nelle terre occupate. Non si trattava solo di uomini, ma anche di donne e bambini. La loro sorte dipese in effetti da coloro che avevano la ventura di incontrare e dai luoghi in cui erano mandati: potevano essere umiliati, maltrattati, anche uccisi, come denuncia il dramma di Hubalek. Ma si aveva sempre la possibilità di trattarli con generosità e umanità. Solo una ricerca storiografica dettagliata e una mostra allestita nel Museo ebraico di Berlino ha portato alla luce i documenti su uno degli aspetti più dolorosi e gravidi di conseguenze dell’economia di rapina e schiavile della Germania hitleriana (Zwangsarbeit. Die Deutschen, die Zwangsarbeiter und der Krieg, Jüdisches Museum Berlin, 28.9.2010-30.1.2011). Adesso, l'argomento è al centro di un gruppo di ricerca della Fondazione dei Monumenti alla memoria di Buchenwald e Muittelbau-Dora: https://www.stiftung-gedenkstaetten.de/themen/projekte/zwangsarbeit. A Weimar, è stato istituito un Museo che raccoglie documentazione da tutta Europa delle storie individuali della deportazione e del lavoro obbligatorio (apre a maggio del 2024): https://www.bildung-ns-zwangsarbeit.de/vor-ort/detail/museum-zwangsarbeit/ Ma quando Hubalek scrisse il suo dramma, il tema era tabù, come altri che tiravano in causa la responsabilità individuale e collettiva nei crimini di guerra. Gli anni dal 1946 al 1970 furono molto difficili nella coscienza e cultura tedesca, perché dilaniati dalla volontà di dimenticare per elaborare i traumi, da una parte, e di cominciare a coltivare la memoria dall'altra. Il processo di denazificazione si era del resto rivelato un'ipocrisia.
Hubalek prende perciò ispirazione anche da altri fatti di cronaca dell'immediato dopoguerra per la scrittura del dramma: ad esempio la scoperta dei crimini commessi in guerra da Heinz Reinefarth, ex generale delle SS, che commise numerose atrocità nel ghetto di Varsavia, vissuto come sindaco di una delle più rinomate località turistiche tedesche, l’isola di Sylt e mai processato, nonostante le numerose richieste da parte del governo polacco. Tristemente celebre una sua frase. spedita al comando generale delle SS, mentre era al comando del ghetto: 'Che devo farne dei civili? Ho più prigionieri che munizioni.' Nel dramma di Hubalek ad avere paura che sia scoperta la verità è soprattutto il capo della polizia della piccola città termale: la storia della polizia tedesca nel dopoguerra, invero, è segnata dalla consapevolezza che i criminali nazisti continuarono a prestare servizio nello stesso corpo dello Stato anche dopo la guerra. All’interno della polizia le indagini furono bloccate da un perverso cameratismo. La mostra dedicata nella primavera 2011 dal Museo di storia tedesca di Berlino al ruolo della polizia durante il Terzo Reich, e alle successive complicità e silenzi, ha raccolto molti casi del genere (Ordnung und Vernichtung − Die Polizei im NS- Staat, Deutsches Historisches Museum Berlin, 1 aprile-28 agosto 2011).
Il dramma di Hubalek, dunque, all’epoca della sua messa in onda destò scandalo. La società tedesca non era pronta a fare i conti con il proprio passato. A nuocere artisticamente alla pièce c’è anche la troppa vicinanza al dramma di Jean Anouilh, che già aveva prospettato lo scioglimento del dramma con la chiusura di Antigone in manicomio, invece che con la sua morte. Diversamente che in Sofocle, quando l’azione inizia Antigone ha già compiuto per una settimana intera il suo gesto di protesta; anche in Anouilh, all’inizio del dramma, Antigone ha già sepolto una prima volta il fratello. In Hubalek la sepoltura non compare. Il gesto di Antigone consiste nello scrivere con un gesso, quindi in maniera non duratura e facile da cancellare, il nome del fratello sul monumento ai caduti appena inaugurato nel parco della cittadina. Come in Anouilh, Creonte impone al poliziotto di non parlare, di non dire a nessuno quello che è accaduto. È proprio in questo spazio di silenzio e di segreto, che sia il Creonte di Anouilh che quello di Hubalek possono pensare di salvare Antigone. In Anouilh, Creonte non è un vero e proprio tiranno, e nemmeno un re, quanto un dirigente politico che si alza al mattino ‘come un operaio all’inizio della sua giornata’ e si adopera ‘semplicemente per rendere l’ordine di questo mondo un po’ meno assurdo, se è possibile’; anche nel dramma di Hubalek, Creonte è il sindaco di un paese, che può fare il buono ed il cattivo tempo con i suoi compaesani, almeno fino ad un certo punto, ma non ha il potere di emanare leggi. È un mediocre, anche se un assassino. Le deviazioni di Hubalek rispetto a Sofocle derivano quasi tutte da Anouilh. Altri elementi, come la figura di Tiresia, e l’idea che Creonte in persona abbia ucciso Polinice, vengono da Brecht. Ma i personaggi di Hubalek, ed Antigone specialmente, non hanno la stessa complessità psicologica di quelli di Anouilh, né la forte carica ideologica di quelli di Brecht. L’idea del giardiniere che rivela il misfatto collettivo è narrativamente debole, pretestuosa. Macabra, ed altrettanto inverosimile, l’idea di fosse comuni nel parco cittadino. E tuttavia, pur con i suoi limiti, il dramma di Hubalek è un atto di denuncia ed un documento originale della ricezione del mito di Antigone da valutare nella sua propria cornice storica, quel periodo di silenzio di piombo della società e della cultura tedesca sui crimini commessi davanti al Nazismo.
Ringrazio per aver messo a mia disposizione il copione inedito l’editore Felix Bloch Erben, Hardenbergstr. 2, Berlin, che detiene tutti i diritti: https://www.felix-bloch- erben.de.
Le foto sono tratte dal web e mostrano lavoratori deportati nell'industria bellica tedesca durante la guerra.