Le Olimpiadi moderne sono sempre state accompagnate da un programma culturale: così anche l'edizione di Parigi 2024 (vedi qui).
Le manifestazioni artistiche non hanno solo una funzione di contorno ai giochi sportivi, né solo di commemorazione storica, ma implicitamente esprimono prese di posizione politiche e culturali della nazione ospitante rispetto ai grandi eventi storici e sociali contemporanei. Perciò non ci sembra inutile ricordare la funzione propagandistica che nel 1936 a Berlino, durante le Olimpiadi organizzate sotto il nuovo regime nazista, svolse la tragedia greca, in un'Europa sulla soglia del conflitto mondiale.
Nazisti e teatro
Dopo la presa del potere nel 1933, i nazionalsocialisti tentarono diverse vie per asservire il teatro ai loro presupposti ideologici ed estetici. Durante un primo periodo, dal 1933 sino ai giochi olimpici del 1936, l’estetica teatrale nazista cercò di definire innanzitutto le proprie specificità anche ad altri media come la radio e il cinema. In questi primi tre anni di regime, il nazismo inventò una sua propria forma spettacolare, il Thingsspiel, ispirato agli spettacoli drammatici della Grecia antica non nei temi, ma negli spazi teatrali, che furono tutti costruiti ex novo, spesso intagliati nella roccia, riprendendo forme e strutture dei grandi teatri di Atene e di Epidauro. Negli spettacoli del Thingsspiel un ruolo fondamentale era svolto dal coro, un elemento come si sa estraneo al teatro moderno, ma caratterizzante delle tragedie greche.
Il regime nazista voleva segnare una cesura netta anche in ambito teatrale, rifiutando la tradizione del teatro borghese e quella del teatro espressionista. La cesura fu concretamente realizzata grazie alle epurazioni degli artisti ebrei e comunisti, che negli anni Venti avevano costituito il nucleo più vitale e creativo del teatro e dell'arte tedesca. Poi si passò all’imposizione dei temi da rappresentare e dunque alla censura delle opere del teatro psicologizzante e individualista, considerato un’espressione artistica decadente e ‘degenerata’, ma anche di molti drammi del teatro classico antico e persino tedesco, se poteva dar adito a interpretazioni politiche devianti per il regime, esaltando ideali democratici e libertari, come accade ad esempio nel Guglielmo Tell di Schiller, dramma che fu perciò proibito.
Thingsspiel
L’intraducibile parola Thing risale all’antico germanico e indicava una riunione di molte persone nei boschi per celebrare un rito o un processo. Adottando il Thingspiel come sua propria forma spettacolare, i responsabili della propaganda culturale nazista intendevano favorire una forma drammatica nazional-popolare, antitetica al teatro borghese e ai suoi spazi istituzionali chiusi, praticata in scenari naturali segreti, che davano ai partecipanti l'impressione di praticare una specie di rito di iniziazione. Il Thingspiel era dunque una forma di teatro partecipativo e anti-intellettualistico, che si richiamava a una vaga tradizione germanica medievale. Nella prassi si rivelava però debitrice al teatro espressionista, che si era a sua volta servito di grandi spazi e arene. In particolare, si poneva in continuità con il celebre 'teatro dei Cinquecento' realizzato da Max Reinhardt (1873-1943) a Berlino, nel luogo dove prima sorgeva il circo Schumann, nel quale erano state utilizzate migliaia di comparse ed erano stati portati in scena anche animali di grossa taglia. Furono edificati quaranta nuovi teatri adatti ai Thingspielen e molti altri teatri all’aperto furono rifunzionalizzati per questi spettacoli, che ebbero però vita breve: solo quattro anni, dal 1933 al 1937.
Il coinvolgimento emozionale intenso, i forti effetti luminosi e le caratteristiche naturali inquietanti dei luoghi delle esecuzioni, l'uso della musica ma anche di rumori e ritmi battenti, di gusto arcaico e magico, avevano come scopo afferrare l'individuo sin nel profondo, renderlo non spettatore ma partecipe di una comunità coesa, indissolubile, tessera piccola ma indispensabile del mosaico del 'popolo'. Tutti insieme si poteva così dare origine a un organismo gigantesco, dotato di una sua forza e volontà invincibile, obbediente ad una guida carismatica. Gli spettacoli del Thingspiel costituivano insieme racconti esemplari e didattici e riti in cui si riconosceva il popolo che credeva ciecamente al nazismo e ne voleva realizzare gli intenti a qualsiasi costo. Questa specie di teatro diventava insomma per il regime un formidabile strumento di manipolazione di massa, ma si trattò di un esperimento che rivelò potenzialità impreviste da chi l'aveva escogitate e contrarie alle direttive ideologiche del regime.
La presenza in questi spettacoli di decine di migliaia di spettatori in preda a forti emozioni e in uno stato spesso allucinato non si adattava certo all'esigenza di imporre ordine, disciplina e controllo necessarie a chi stava costruendo il nuovo ordine. Il coro, una collettività esageratamente numerosa, non seguiva regole né poteva essere condotto con schemi coreutici o musicali, ma agiva in una specie di orgiasmo dionisiaco che finì con l' impaurire persino i più consapevoli ideatori di questi spettacoli, i quali avrebbero voluto ritornare alle origini dello spettacolo tragico, mal ispirandosi alla Nascita della tragedia (1872) di Friedrich Nietzsche. All’isteria e all’invasamento di massa contribuiva anche il fatto che molte di queste manifestazioni si tenevano in piena notte alla luce di fiaccole o della luna piena.
Questi spettacoli divennero perciò invise ad Hitler, che da parte sua non amò mai il teatro e le arti performative; lo stato maggiore nazista, che le aveva invece volute e favorite, guardò infine con sospetto a queste potenziali occasioni di indisciplina, sovvertimento, rivolta, troppo simili agli spettacoli di matrice bolscevica inscenati nell’Unione Sovietica per celebrare la rivoluzione proletaria con il reenactment dei fatti del 1917. Per reagire ad un teatro borghese, dunque, si era finito per scimmiottare una forma di spettacolo partecipativo bolscevico. Tutto ciò doveva finire.
Con la proibizione del Thingspiel, iniziò perciò una nuova fase del teatro nazista. Abbandonando le performances collettive e in un certo senso di carattere iniziatico,i responsabili della propaganda culturale si rivolsero al modello classico, specificamente greco antico. I maestosi e impressionanti teatri all’aria aperta destinati al Thingspiel furono abbandonati e andarono presto in rovina. Tuttavia il programma teatrale delle Olimpiadi del 1936 comprendeva ancora uno spettacolo del genere in un grandioso teatro all’aperto costruito ispirandosi al teatro di Epidauro, la Dietrich-Eckart-Bühne, oggi Waldbühne. Ma lo spettacolo di punta delle Olimpiadi del 1936 fu invece l’Orestea di Eschilo.
L’Orestea del 1936
L’Orestea andò in scena allo Staatliche Schauspielhaus sul Gendarmenmarkt per la regia di Lothar Müthel (1896-1964), artista che si era formato alla scuola di Max Reinhardt, ma hitleriano sin dalla prima ora: l’Orestea divenne il suo primo importante banco di prova come regista ufficiale del regime, a cui in seguito si affiancò un’intensa attività come sovrintendente del teatro di Vienna dopo l’Anschluss.
L’Orestea fu inserita nel programma delle manifestazioni culturali dei Giochi Olimpici con un posto di assoluto rilievo: naturalmente nelle Olimpiadi il ruolo dell’antichità greca è sempre stato importante e non lo perde tutt’oggi (vedi ad esempio la cerimonia di accensione della fiaccola olimpica di Parigi 2024). Tuttavia, la rappresentazione della trilogia di Eschilo valse come una specie di manifesto ideologico della propaganda nazista. Lo scopo della messa in scena, analogo a quello del film Olympia di Leni Riefensthal, consisteva nell’indicare a un pubblico nazionale e internazionale l’idea che vi fosse una linea diretta, nell’arte, nella cultura, nell’eccellenza, tra i Greci antichi e i Tedeschi.
Le premesse di questo abuso ideologico dell’antichità greca, che in Germania aveva lontane radici, si trovano, com’è noto, già in Mein Kampf di Hitler, e poi nei discorsi di politica culturale dei ministri del Reich, ove i Greci antichi sono indicati quali modelli estetici e razziali.
L’Orestea di Müthel valse perciò come una specie di allegoria del percorso sino ad allora intrapreso dal regime, i cui maggiori rappresentanti – Frick, Goebbels, Göring, Himmler e von Schirach – parteciparono commossi alla prima del 2 agosto 1936. I gerarchi nazisti erano i nuovi dei, che vegliavano e guidavano i destini del popolo. In analogia, sulla scena dell' Orestea comparivano statue gigantesche degli dèi, che dominavano sull'azione di esseri umani piccoli, inermi, puri esecutori di un Fato superiore.
La traduzione usata dal regista fu quella di Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff (1848-1931), filologo celeberrimo della generazione precedente, anche se ritoccata da Müthel togliendo ad esempio riferimenti religiosi che alludevano al Dio cristiano. Nel programma dell’evento si stampò uno stralcio da un discorso del 1898 dello stesso Wilamowitz, stralcio a cui viene dato il titolo Confessione tedesca (Deutsches Bekenntnis), mentre il titolo originario del discorso, che era stato dedicato all'Imperatore, era Volk, Staat, Sprache (Popolo, Stato, Lingua). Richiamarsi a Wilamowitz significava stabilire una linea di continuità tra gli anni Trenta e l'epoca guglielmina, saltando sia la Prima guerra mondiale che la Repubblica di Weimar; ci si riferiva a una gloria intellettuale della Germania e si cercava un richiamo accademico e autorevolissimo per il significato che si voleva attribuire all'Orestea.
La trilogia eschilea veniva interpretata come il racconto del superamento di un passato sanguinoso che doveva essere definitivamente sepolto, come celebrazione dell’inizio di una nuova epoca, di un nuovo regno, di una nuova generazione, di uomini eccezionali che adesso potevano agire per il bene dello Stato e del popolo. Nell'Orestea di Eschilo si doveva vedere il racconto allegorico, almeno negli intendimenti degli ideologi del regime, del passaggio da un’età dionisiaca, oscura, arcaica, caotica, a un’età apollinea, luminosa, armonica, un'età di pace e prosperità. Perciò veniva data importanza alle Eumenidi, una tragedia che invece il teatro guglielmino aveva trovato imbarazzante perché troppo legata alla celebrazione della democrazia. Nella trilogia di Eschilo il pubblico del 1936 assisteva ad una narrazione lineare, che andava da uno stato selvaggio e sanguinoso ad un’età nuova, civile, segnata dalla «riconciliazione» (Die Versöhnung è il titolo dato alle Eumenidi). La riconciliazione consisteva nell'integrazione dell'individuo, e dei suoi legami di 'sangue', nella superiore unità dello Stato. La comunità politica superava e sostituiva qualsiasi altro microcosmo sociale, compresa la famiglia. L'uomo tedesco, come l'uomo greco, viveva in funzione dello Stato, era dunque un uomo politico.
Il cammino verso una verso la fondazione di uno Stato che si poneva come eterno e indistruttibile era costellato da sacrifici individuali, come insegnava la tragedia greca: non poteva cioè che passare attraverso il sangue, la vendetta, lo scontro tra opposte forze, tra le potenze buie del passato e l’accecante forza del futuro, attraverso il conflitto tra il caos di un indefinito e corrotto 'Oriente' e l’ordine dei civilizzatori, di una stirpe eletta come eletta era stata quella dorica, che aveva conquistato la Grecia antica. Niente doveva frapporsi al progetto di edificare l'ordine nuovo; i traditori andavano eliminati, anche quando facevano parte della stessa famiglia. La violenta saga della stirpe di Agamennone diventava allegoria del difficile compiersi della vendetta contro i traditori, ove per traditori si sottintendevano i tedeschi fautori della repubblica di Weimar e in generale gli avversari della Germania nazista, comunisti e poi anche ebrei, che avevano determinato, secondo un’interpretazione già degli anni Venti, la catastrofe della Prima guerra mondiale.
Non sappiamo se questo messaggio ideologico diventasse comprensibile per tutto il pubblico. Ma certamente contava la suggestione esercitata da una scenografia monumentale, l'emozione di assistere a una vicenda remotissima, lontanissima nel tempo, ad una favola inquietante, che distoglieva dal presente e riusciva a far dimenticare i problemi del quotidiano. Già nell'ottenere questa specie di catarsi, la tragedia greca coglieva un obiettivo che invece le altre forme spettacolari avevano fallito: rendere il pubblico docile, malleabile, trasportarlo in un altro mondo. Proprio quest'aspetto può aver fatto sì che la tragedia greca continuasse ad essere rappresentata durante il nazismo, senza che si cogliessero possibili riferimenti critici al presente: nessuno ad esempio vide nel Creonte dell'Antigone, la tragedia greca più rappresentata tra il 1933 e il 1945, una possibile, terribile, tirannica controfigura di Hitler.
Alcuni personaggi si prestavano poi più facilmente ad essere allegorie nel presente. L’Orestea di Müthel andò in scena qualche mese dopo la promulgazione delle leggi di Norimberga che nel 1935 avevano privato della cittadinanza le persone di razza ebraica e avevano proibito i matrimoni ‘misti’. Nell’ Orestea pertanto Egisto, l'amante di Clitemnestra, impersonava il carattere dell’estraneo, del corruttore, dell’usurpatore, di chi macchia la 'razza'. Bisognava eliminarlo, così come era un dovere uccidere Clitemnestra, rea di aver infamato la pura stirpe degli Atridi con un illecito legame sessuale. Clitemnestra era anche in filigrana l'anti-madre tedesca, colei che non aveva saputo aspettare, come invece avevano fatto le donne durante la Grande guerra, suo marito che combatteva al fronte, che aveva infangato il suo stesso nido. Oreste era invece l'uomo politico che ci si aspettava.
Il significato politico della messa in scena dell'Orestea era dunque del tutto attuale: dopo la catastrofe della Prima guerra mondiale, il tradimento di Versailles e il buio della repubblica di Weimar, era venuto il momento per lo splendore del potere dei nazionalsocialisti, conquistato con fatica e abnegazione, per la giustizia di un'Atena che iconograficamente assomigliava più a una dea nordica che non alla dea dei Greci, come notarono i recensori.
Il ruolo di Atena nelle Eumenidi diventò dunque decisivo: non al democratico Areopago, diviso sul da farsi, veniva demandata la giustizia e la riconciliazione; ma a una divinità antica, in cui si rispecchiava un’aristocrazia privata dei suoi diritti dallo stato democratico. A stabilire la pace interveniva una volontà divina che ex machina imponeva nuove regole scritte, ossia leggi che garantivano la liceità dello spargimento di sangue in vista del fine superiore della stabilità dello Stato. Dietro la volontà terribile ma pacificatrice di Atena si celava la volontà incrollabile e salvifica del 'Führer'.
Riferimenti bibliografici:
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Schlösser, R. (1937), Das unsterbliche Gespräch über das Tragische. Dramaturgie als Gesetzwerk nordischer Kultur, Wille und Macht, 487-496.
Sui nazisti e il teatro vedi anche, su questo blog, https://www.visionideltragico.it/blog/tragico-contemporaneo/giornata-delle-memoria-2-quando-tutto-ebbe-inizio-marzo-1933-nei-teatri-di-berlino
Le rare immagini dell'Orestea 1936, nonché i bozzetti di scena, su cui stiamo lavorando per uno studio specifico, si trovano nelle Theaterhistorischen Sammlungen della Freie Universitaet di Berlino.