Ripetuti applausi hanno salutato l’ultima replica di Kassandra di Sergio Blanco, nell’ambito della rassegna ‘Nuove Storie’ a cura di Francesco Frongia all’ Elfo Puccini di Milano.
Applausi per la prova straordinaria della versatile Roberta Lidia De Stefano, autrice anche di parte delle musiche, e la regia di Maria Vittoria Bellingeri che interpreta splendidamente lo spirito del monologo. Un’ulteriore prova che le pièces del drammaturgo franco-uruguaiano offrono sempre al pubblico un’esperienza teatrale che lascia il segno (così è stato di recente durante il Festival Presente indicativo al Piccolo Teatro di Milano).
Quelli di Blanco sono testi cesellati, redatti con acribia e con un uso consapevole e mai scontato dell’allusione, dell’intertestualità, della costruzione drammaturgica e dei suoi tempi.
Testi per un pubblico esigente e per lettori accorti; eppure testi inscindibili dall’occasione performativa, che entrano subito in sintonia con il pubblico in sala attraverso il repertorio musicale, il dialogo diretto dell’autore con i personaggi e con il pubblico, il ritmo della rappresentazione. Lo spettatore viene così trascinato nel vortice dell’invenzione e della finzione, sperimentando tutta la gamma possibile di emozioni, dalla commozione alla sorpresa alla gioia, dalla tristezza alla nostalgia alla rabbia.
Alla base della drammaturgia di Blanco c’è la poetica dell’‘autofinzione’, ossia l’incrocio tra autobiografia e invenzione di sé e del mondo, tra verità e menzogna, una poetica certamente non nuova, le cui radici risalgono anzi ad Omero.
Autofinzione, infatti, sono i racconti dell’Odissea con cui Odisseo a ritroso ripercorre le sue avventure tra maghe avvenenti, ciclopi ubriachi e irate divinità, incantando gli ascoltatori alla reggia dei Feaci e costruendo per loro e per tutta la letteratura posteriore un ‘io’ singolare e unico di eroe paziente e multiforme.
Sin dalla Teogonia di Esiodo, il pubblico sa che nella poesia vero e falso sono inestricabili e che le Muse, se vogliono, cantano ‘menzogne simili al vero’: perciò il primo poeta che dichiara il proprio nome, Esiodo appunto, può raccontare senza tema di essere smentito di aver ricevuto l’investitura dalle Muse in persona, scese appositamente dall'Olimpo, mentre portava al pascolo le pecore del suo gregge. Ma chi ci crede?
La scrittura dell’ io non sfugge alla finzione anche e proprio quando vuole essere realistica, tutt’altro. Ogni autobiografia, in fin dei conti, è un’opera di finzione. Lo insegna tra gli altri un autore scaltro come Luciano di Samosata, che racconta di sé attraverso maschere di personaggi che gli assomigliano e portano nomi simili al suo, ma non sapremo mai quanto coincidano con l’autore. Nel proemio di un’opera ironicamente intitolata Storia vera, Luciano candidamente dichiara che non scriverà nulla che sia vero o realmente accaduto, stringendo così con il lettore un ‘patto di menzogna’.
Non credo che facciamo torto a Blanco, se inseriamo le sue pièces in questa linea già antica. Blanco, del resto, ha studiato lettere classiche e si confronta di continuo con i ‘classici’ greci e latini, anzi: molti passi dei suoi drammi costituiscono un serrato un corpo a corpo con la tradizione canonica occidentale. Non è forse esagerato dire che Blanco si pone tra gli ultimi poeti della schiera di Omero, di coloro cioè che sono considerati maestri di verità grazie alle loro palesi bugie.
Verità e menzogna sono il nocciolo anche di Kassandra, un monologo del 2008 che – se vogliamo apporvi ancora un’etichetta – appartiene al genere della riscrittura. Perché la Kassandra di Blanco non è un personaggio contemporaneo con il nome della famosa infelice profetessa troiana, che profetizza il vero ma non non viene creduta.
No, Kassandra è proprio la figlia di Ecuba e Priamo, portata schiava da Agamennone ad Argo e lì trucidata dalla vendicativa Clitemnestra. Insomma Kassandra, anche se in scena appare vestita come una prostituta straniera contemporanea, armata di smartphone e con addosso i falsi di grandi firme, anche se non parla greco (tranne che in una citazione da Euripide) e non sa parlare italiano ma si esprime in un inglese elementare e frammentato, non smette di essere una delle sventurate Troiane della tragedia euripidea. Così il testo frantuma ogni percezione del tempo, ogni distanza tra mito e storia e dunque tra realtà e finzione: anche perché questa Kassandra, pur essendo stata orribilmente uccisa da Clitemnestra, sta invece viva e vegeta all’angolo di una strada di una squallida periferia in attesa di clienti, ma grazie al dono della profezia sa già che morirà (di nuovo) di lì a poco in un incidente stradale. Proprio di ogni personaggio mitologico, infatti, è adattarsi a ogni situazione e a ogni tempo: ai personaggi mitologici non si addice il tempo lineare né una sola vita e naturalmente non una sola morte o un unico modo di morire.
In ogni caso, questo monologo è il testamento di Kassandra e insieme la sua rivincita contro la tradizione di teatro tragico che non l’ha resa protagonista di alcuna tragedia greca, ma l’ha emarginata e ha fatto di lei solo un personaggio secondario: insulta Eschilo ed Euripide perché l’hanno immaginata una pazza o un’isterica. Naturalmente, come altre Cassandre contemporanee, pretende di svelare al pubblico la verità dei fatti, o meglio la verità della finzione mitologica.
E così Cassandra ‘in realtà’ è un uomo, innamorato di Ettore, suo fratello, che lo ricambia; gli piace fare sesso, e perciò non gli dispiace il rapporto violento con Agamennone, che non ama ma che desidera. Anche la cognata Andromaca, la moglie di Ettore il cui strazio ha commosso generazioni di lettori omerici, non è ‘in realtà’ quell’esempio di moglie virtuosa fissato nella tradizione, ma qui non diciamo perché.
Kassandra ci svela questo e molto altro in un monologo concitato, un vero e proprio fiume di parole in cui senza finzioni si mette a nudo per quel che è: una vittima come tante di una guerra insensata e ingiusta, che ha perso tutta la sua famiglia, il cui padre non ha nemmeno una tomba – è desaparecido –; una creatura annullata dalla violenza, massacrata da una donna gelosa e avida di potere (Clitemnestra) che ne fa a pezzi il corpo; quel corpo con cui lei però adesso, mercificandolo, può sopravvivere, sebbene quel corpo porti tutte le cicatrici, le tracce delle ferite subite, degli stupri vissuti, delle droghe assunte.
Un corpo martoriato e offeso che tuttavia resta la sua ancora di salvezza, a cui lei si aggrappa perché ‘non bisogna mai perdere la speranza’ – e questo sembra l’unico messaggio positivo di un monologo oscuro, inquietante.
«Tragedy, but never loose the hope in the future».
Questa speranza ha il volto di Bugs Bunny, un ricordo remoto d’infanzia, un alter ego legato all’età dell’innocenza, che ride e urla stupidamente «it’ok!» con la musichetta di contorno. Questa speranza si esprime con le parole celebri della chiusa di Via col Vento, ‘domani è un altro giorno’, o con la canzone degli Abba The winner takes it all, la canzone degli sconfitti e della necessità di andare avanti comunque, esiliando il rimpianto.
Così la cultura elevata della tragedia greca in Blanco si mescola inestricabilmente a quella pop, e la tragedia greca si trasforma in ‘vera’ tragedia degli oppressi e degli umiliati, dei cacciati dalla patria e di chi ha visto dissolversi ogni cosa; così la letteratura diventa vita ed è pronta ad alimentare nuova letteratura, a scoprire scintille di poesia anche nella maschera irridente di un coniglio pronto a fagocitare la sua Alice senza meraviglie.
Eppure al centro della pièce non c’è propriamente Kassandra, che pure ne è l’unica voce. Kassandra, nella sua molteplicità, nelle sue maschere e nella sua confusione, resta personaggio sfuggente, un’ombra indistinta, nel genere e nell’atteggiamento verso la vita. Forse Kassandra si inventa per quel non è.
Ma la protagonista della pièce è invece la lingua: quella lingua imperfetta, sgrammaticata, essenziale, franta, un inglese buono solo per comunicare, attraverso il quale Kassandra cerca il pubblico, lo interpella, si assicura la sua attenzione (ed è bravissima Roberta Lidia De Stefano a rendere l’incertezza del tessuto linguistico, la contemporanea ansia di raccontare e la gratitudine per chi ha ascoltato il racconto). Il trauma si purifica attraverso la lingua, ma soprattutto l’‘io’ fatto a pezzi da Clitemnestra, disgregato dai soprusi e dalle violenze, si ricompone attraverso la lingua: «se sono capace di nominare allora sono capace di rappresentarmi», scrive Sergio Blanco, e questo vale sia per Kassandra, che con la sua lingua stentata si auto-rappresenta, sia per l’autore.
Perciò il racconto diventa un disperato tentativo di sopravvivenza, dell’autore e del personaggio; la lingua fa prendere forma alla violenza e definisce il trauma, lasciando aperta la possibilità di superarlo. La lingua, che afferra e possiede il personaggio non meno del pubblico, può forse essere strumento di catarsi. Forse.
Perché invero questo monologo è una tragedia, ‘a real tragedy’, una tragedia vera e non finta come le tragedie greche, una tragedia intrisa di sangue in scena. Come in altre sue piéces, specialmente Il bramito di Düsseldorf, qui Blanco va al cuore della tragedia come genere letterario, sulla scia di una celebre affermazione di Friedrich Hölderlin nelle Note all’Antigone: «La parola greco-tragica prende possesso del corpo affinché questo uccida» (traduzione di Luigi Reitani).
La parola greco-tragica, cioè, può afferrare un corpo e renderlo assassino nei fatti, uscendo fuori dalla scena, fuori dalla finzione, fuori dalla mimesi. La parola moderna tragica, d’altro canto, secondo Hölderlin, induce alla morte dopo aver preso possesso della mente di chi ne è vittima. Sempre, perché ci sia tragedia, c’è morte.
E Kassandra, alla fine, muore. La lingua non si è rivelata ancora di salvezza per lei che ne è stata afferrata. E per il pubblico? E per l’autore?
KASSANDRA
di Sergio Blanco
regia, scene e costumi Maria Vittoria Bellingeri
con Roberta Lidia De Stefano
luci Andrea Sanson
assistente alla regia Greta Bertani
ERT - Emilia Romagna Teatro Fondazione
Foto @Serena Serrani
Nota Ricordiamo che durante il Festival Presente Indicativo per Giorgio Strehler (Festival internazionale di teatro Milano, 4-31 maggio 2022), di cui abbiamo già parlato nel nostro blog (qui; qui;.) sono state proposte tre opere di Sergio Blanco: Zoo, El bramido de Düsseldorf e, in prima nazionale, Cuando pases sobre mi tumba. Ne parleremo presto