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Pubblichiamo la scena decima dell’Agamennone di Fabrizio Sinisi, apparso nel 2017 nella collana ‘Visioni teatrali’ diretta da Franco Perrelli presso Edizioni di Pagina. Rigraziamo l’editore, il curatore e l’autore per aver concesso la ripresa, sul nostro blog, di uno stralcio del testo e della introduzione di Franco Perrelli.

Oltre all' Agamennone, il libro, acquistabile qui,  contiene due drammi di Sinisi (La grande passeggiata; Natura morta con attori) e la postfazione a firma di Federico Tiezzi, Il pensiero feroce. Appunti su una drammaturgia in versi. Per la rubrica ‘Drammaturgie’ abbiamo già pubblicato Cassandra di Manlio Marinelli e Filottete di Paolo Puppa.   

Agamennone di Fabrizio Sinisi, messa in scena 2016

 

AGAMENNONE Clitemnestra.

 

CLITEMNESTRA  Agamennone.

 

AGAMENNONE  Ti aspettavo. Pensavo.

 

CLITEMNESTRA  A cosa?

 

AGAMENNONE Al luogo

del nostro primo amore.

Ricordi?

 

CLITEMNESTRA Eravamo molto diversi,

Agamennone. Molto diversi.

 

AGAMENNONE Non così diversi.Ti vidi

quella prima volta.Ti vidi.

Lo ricordo e ti vedo

come se fosse qui davanti a me

la Clitemnestra di allora.

Ti vedo: in un mattino

d’inizio maggio svelarti

tra le sbarre di un cancello –

di là, in un giardino acceso

di un furore di luce:

bella, bella al punto

che quell’apparizione

mi fece trasalire. Sapevo

che ti avrei sposata, ma ancora

non ti avevo vista, e allora –

quando finalmente ti vidi

il cuore ebbe un contraccolpo

di gioia; il vero, il primo

e forse l’unico

contraccolpo di gioia della vita,

così forte che ho dovuto

appoggiarmi a un muro

per non cadere. Mi sentii

stravolto per il bene

che contro ogni speranza e mio malgrado

in te mi stava accadendo.

 

CLITEMNESTRA Anch’io ti vidi. Un giovane

uomo. Non avevo paura degli uomini:

ma di te sì. Una tremenda

malinconia nella voce. La sentii

quando mi parlasti, mi chiamasti

la prima volta...

 

AGAMENNONE «Eccoti, ragazzina, che fai,

ti nascondi?» E tu non parlavi.

Mi guardavi fisso. E io ti dissi...

ricordi cosa ti dissi?

 

CLITEMNESTRA «Non esiste al mondo albero,

pianta o torre o luce che possa

nasconderti ai miei occhi.»

 

AGAMENNONE E mentre lo dicevo pensavo:

“Potrei rimanere qui

a guardarti per sempre:

non vorrei più da qui

distogliere lo sguardo”.

 

CLITEMNESTRA E avevi una tristezza nella voce –

ma in quella tristezza riconobbi la mia.

Finora non avevo mai visto

la mia tristezza, e nella tua

finalmente mi riconobbi.

Prima di te non avevo mai saputo

il mio desiderio di essere

più di questo, più della terra

e del corpo, oltre

il cuore e il potere.

Da te lo seppi, quel giorno

e poi ancora e ancora.

La tua fame m’insegnò la fame – fu il tuo

desiderio a dare fuoco al mio.

 

AGAMENNONE E tu con il tuo sguardo

d’infinito amore mi davi

la vertigine. Quello che io ho fatto

da quel momento in poi

l’abbiamo fatto insieme.

 

CLITEMNESTRA Per questo ora tutto

di noi va a fuoco

e brucia e rovina.

Quello che io sono

lo sono perché tu sei.

 

AGAMENNONE C’è un attimo di silenzio all’inizio,

alla radice di ogni amore.

Lo seppi quel giorno quando

attraverso le sbarre del cancello

pazzo di fiori ti presi la mano:

un’allegria purissima mi travolse

il petto, risalì lo stomaco,

mi diede una vertigine.

Mi sorridesti. Mai ho provato

in vita mia qualcosa

di più simile alla felicità, e credetti

che sarei scoppiato in pianto.

 

CLITEMNESTRA Seppi di amarti allora,

quando nel punto più profondo

della mia primavera sentii

in me il desiderio di vederti ridere.

Capii che avevo a cuore

la tua allegria più della mia.

Ed ebbi paura.

La mattina dopo averti incontrato,

al risveglio, dubitai che fosse

stato un sogno, e mi prese lo spavento.

Ma poi seppi che tu c’eri,

e permanevi tenace nella mia vita.

Pensai a te e dissi:

tu non andrai più via, io

non andrò più via da qui.

Ecco come ho imparato a distinguere

il vero dal falso:

il vero persiste.

 

AGAMENNONE Volli te, seppi che eri tu

quando sentii la mia vita

fiorire nella tua. Quella mattina

di maggio nel furore della luce

io sono stato felice.

 

CLITEMNESTRA E adesso, Agamennone? Adesso

che ne è del nostro primo amore?

Cosa ne abbiamo fatto?

Che cosa siamo diventati?

 

AGAMENNONE Ecco cosa ne abbiamo fatto, ecco

quello che siamo.

Eccoti qui Agamennone:

vecchio e solo, col sangue

avvelenato, stanco fino alle ossa,

senza un essere al mondo che ti ami.

Era questa, la vittoria? Questo

il guadagno, la vita, la gloria?

Questo ho comprato ammazzando

mia figlia, sacrificandola al dio?

Facciamo le guerre, ci strofiniamo

nei letti, mettiamo su case

e le distruggiamo. Facciamo

di tutto. Ma senza vedere.

 

CLITEMNESTRA Vedere cosa?

 

AGAMENNONE Vedere noi.

Quella risata che sentii

scoppiare in me quando ti vidi

bellissima dirompere

tra le foglie del giardino:

quella risata sì, ero io – io

veramente. Quella risata era

l’altro destino, per me:

e io l’ho mancato.

 

CLITEMNESTRA Oh, tutta la vita sentiamo

su di noi l’ombra

di un destino diverso. Mai però

che ci decidiamo a dire

di sì o di no veramente,

e ad afferrarlo e a prenderci

la vita che ci spetta.

Agamennone, quello che abbiamo

l’abbiamo scelto

e quello che ci manca

l’abbiamo rifiutato. Non c’è

un altro destino, per noi, qui.

 

AGAMENNONE    È davvero così necessario questo,

Clitemnestra? È davvero così tardi,

per noi?

 

CLITEMNESTRA tace.

 

AGAMENNONE    Quello che devi fare fallo presto.

 

CLITEMNESTRA    Chiudi gli occhi.

 

AGAMENNONE    Non ti vedo più.

 

Paolo Graziosi interpreta Agamennone di Sinisi

 

Dall'introduzione di FRANCO PERRELLI, Il dramma trasversale di Fabrizio Sinisi 

Il pugliese Fabrizio Sinisi – alle spalle buoni studi letterari con un’attenzione elettiva per la poesia italiana, nonché una personale e non effimera militanza di poeta – si è segnalato negli ultimi anni come drammaturgo e Dramaturg molto attivo sulle maggiori scene nazionali.[…]

L’Agamennone di Sinisi ha una relazione assai personale e, in fondo, relativa con l’Orestea e non si presenta come un rifacimento, ma, a suo modo, come un’opera originale. L’epoca degli eventi resta incerta e sono pressoché assenti le didascalie, sicché l’ambientazione è affidata all’incipit lirico: «dopo dieci anni / che Agamennone manca, / la nostra Argo è una città / distrutta dalla fame, intontita / dal disordine, ottusa / e accecata dalla febbre. / I bambini che non sono mai / partiti per la guerra / adesso sono giovani ventenni / intossicati dalla rabbia e dalla noia, / feroci, stupidi e violenti / come animali drogati».

Argo si staglia come una metafora del mondo contemporaneo, ottuso da un totalizzante appariscente conflitto globale di natura finanziaria, ma agitato in parallelo da striscianti sanguinose guerre sotterranee, pressoché ignorate o attenuate dai media. Il trattamento del mito è così inizialmente livinghiano, come la tensione a un bilanciamento di lirismo e denuncia, che non prende tuttavia la strada del cartello politico alla Piscator, bensì, ancora una volta, s’incanala esistenzialmente: uomini soli ed eliotianamente “vuoti”, carichi di violenza e di rimorsi, quasi mortificati dalla materia, si muovono sulla scena della storia alla ricerca della propria sfuggente verità interiore.

Peraltro, il modello arcaico della tragedia greca viene pressoché scomposto dall’autore in un lirismo limpido, intenso, ma mai estraneo a un tono colloquiale. Agamennone è, infatti, un copione che ignora l’arroganza del testo tragico e letterario; si direbbe che sia così felicemente espressivo da rinnegarsi nella sua letterarietà, trasfondendosi in comunicazione immediata, sommessa, mai declamata e bisognosa, per questo, di uno strumento-attore raffinatissimo.

Paolo Graziosi e Daniela Poggi in Agamennone di Sinisi

Clitemnestra vive nella «tana del palazzo reale» ed «eccola: / stanata forse dalla vergogna / o dal desiderio del sole, / venire qui sull’orlo / estremo del paese, / bella e piena d’ombra / come l’imminenza del giorno / che proprio ora avanza / pianissimo sul mare». Il popolo – che «risponde / a quest’unico, bestiale precetto: / fare ciò che si deve» e «ama in fondo la dittatura», rappresentato dal Coro –, non si lega affatto (ricambiato) alla sua regina, così scostante e differente da Agamennone, che conosceva «l’arte segreta [...] / di giocare coi bambini, / parlare con un povero» e «farsi amare».

Clitemnestra è infatti «l’essere unico, / diverso – inconciliabile», che ha allontanato Elettra e Oreste, ha accolto nel suo letto Egisto, ed è tanto sfrontata da ammettere: «Mi permetto di essere laida, e sporca / come l’ultima delle puttane / nel letto di mio marito / col cugino di mio marito / che per giunta non vale nulla». Tuttavia, in Clitemnestra, non c’è solo la fregola dell’adultera; l’elemento d’irredimibile separazione e avversione nei confronti di Agamennone resta il sacrificio della figlia Ifigenia perpetrato dal condottiero.

Costui, infine, fa ritorno in patria, recando con sé come schiava la profetessa Cassandra, che ormai «è di Agamennone / come un cane appartiene al padrone»: «Sono stata violentata» – narra la donna – «da Aiace sotto le insegne del mio dio / mentre intorno la mia città / bruciava. Merito tuo, anche. / Ricordi, Agamennone? / [...] Per questo tu mi tocchi con tremore». Fra padrone e schiava, però, con il tempo, i rapporti sono mutati e si sono trasformati in affezione. La grande differenza di Cassandra rispetto a tutti gli altri personaggi del dramma è che, in qualità di profetessa, detiene le chiavi di ciò che avverrà e raddoppia la dimensione scenica proprio declinando quel futuro, la cui conoscenza non attira invece Agamennone, pago e grato alla sorte del presente di essere rientrato in patria: «bisogna» – afferma il condottiero – «tornare sul palcoscenico. / [...] se è una parte felice o triste, / se questa è una commedia / o una tragedia: soltanto tu [Cassandra] lo sai».

Certo Agamennone si rende immediatamente conto che rientrare nella vita civile e coniugale è più difficile che combattere. Infatti, «la guerra è più semplice di questo, / è facile, e a volte è bella, / certi momenti: sei lì, puro corpo, / in bilico fra la morte e la vita. / Non mi sono mai / sentito così vivo / come presso la morte, / inzaccherato di sangue, / i nervi tesi, leggero, / ficcato alle radici del pensiero / dove non esiste pensiero / ma solo l’azione, stretto all’arma come / al corpo di una donna, / fedele al mio essere qui e ora / corpo, lampo, passaggio / di luce fra un’ombra / e l’altra della vita, / una gioia indicibile. / Ma sempre poi bisogna ritornare / ai giochi del terribile: il potere, / la politica, la storia».

Cover Sinisi Tre Drammi edizioni di Pagina

Per Clitemnestra, le figure di Cassandra e d’Ifigenia si confondono tormentosamente in una sola, ma la profetessa è presente e rivale, mentre la figlia non ha fatto più ritorno. Ad Agamennone – abbigliato di rosso acceso come un boia e insieme una vittima già sanguinante – Clitemnestra rimprovera: «Hai macellato tua figlia / Ifigenia», e l’eroe (che non ha avuto a che fare col Dio di Abramo e d’Isacco) può solo lamentare che «Nessun dio è intervenuto, / nessun dio mi ha fermato [...]. / Arriverà a fermarmi: adesso, / mi dicevo – adesso. / Invece nessuno mi ha interrotto». Così, il condottiero ha «aspettato fino all’ultimo / e non sapevo dove guardare, / dove cercare aiuto, / e avevo gli occhi / del cielo e della terra / puntati su di me – / cosa dovevo fare?».

Clitemnestra gli oppone, risoluta, che a uomini e dèi bisogna saper dire di no. I due personaggi si ritrovano nello specchio di un’insondabile tristezza, confrontandosi con il comune falso destino nel quale gli uomini sono tentati di rifugiarsi: «Agamennone. Facciamo le guerre, ci strofiniamo / nei letti, mettiamo su case / e le distruggiamo. Facciamo / di tutto. Ma senza vedere. / Clitemnestra. Vedere cosa? / Agamennone. Vedere noi. [...] Clitemnestra. Oh, tutta la vita sentiamo / su di noi l’ombra / di un destino diverso. Mai però / che ci decidiamo a dire / di sì o di no veramente, / e ad afferrarlo e a prenderci / la vita che ci spetta».

Cassandra, consapevole del futuro, implora pietà per Agamennone, ma la prima vittima del furore di Clitemnestra sarà proprio lei, gettata al popolo affinché ne faccia quel che vuole. In forma straniata, parlando di sé, la profetessa narrerà: «Alla fine hanno appiccato il fuoco / a quel poco di lei che rimaneva: / [...] groppo carbonizzato / che era stato la giovane / profetessa Cassandra, / maledetta dal dio, / maledetta dagli uomini».

La tragedia, del resto, precipita in un finale, nel quale i protagonisti parlano ormai di loro stessi in quanto morti e Clitemnestra, solitaria – dopo l’assassinio di Agamennone –, conclude: «Nessun essere umano / dovrebbe vivere così: / separati dalla vita, / vivi nostro malgrado, vivi sì / ma senza gioia, / come un corpo senza sangue. / Ogni sera della sua vita / la regina muore, e l’attore / che la rappresenta si chiede: / dove, e a che punto / abbiamo sbagliato, / dove, e a che punto / ci siamo separati da noi – / dove, e a che punto / abbiamo tradito il meglio / e il vero di noi stessi, / la nostra vita, / il nostro primo amore».

Nelle Note dell’autore per Agamennone, leggiamo:

Ma chi sono queste figure? Chi e cosa sono adesso? Agamennone non è più l’uomo della guerra, ma l’uomo della stanchezza e del disincanto, l’uomo che tutto sa perché tutto ha visto e tutto ha provato. Cassandra è la giovane donna, è l’emblema della città di Troia ferita e distrutta, e proprio dal fondo di questa rovina vede e sente ogni cosa: Cassandra vive nel profondo alla radice delle cose. Poi c’è Clitemnestra, la protagonista. Clitemnestra è il grande conflitto della Donna: rovescia l’attesa di Penelope, da luogo dell’attesa diventa luogo della rabbia, mano del sacrificio; in Clitemnestra, l’uomo d’oggi vede la terribile giustizia dell’umano, la febbre dell’esistenza che diventa violenza, il lutto che diventa ferocia. E infine il Coro, lo sfondo dell’esistente: la città, la politica; il Coro è la società e, dunque, la paura e lo scandalo. Ventiquattro ore: tre donne, di tre diverse generazioni, e un solo uomo, destinato a morire. Tutto si svolge nell’arco di tempo che va dall’arrivo di Agamennone ad Argo fino al suo omicidio. [...] Gli elementi del dramma eschileo vengono messi a reazione, scatenati uno contro l’altro fino all’estremo, in una tensione di amore e rabbia, erotismo, malinconia e furore, fino all’esplosione.

Lo spettacolo estivo, presentato nelle Marche da Alessandro Machìa, aveva in Paolo Graziosi un interprete di tradizione, che conferiva ad Agamennone una calibrata desolazione. Gli attori indossavano costumi senza tempo, anche se tendenzialmente declinati al moderno; la scenografia – un’alta povera staccionata, con gli interpreti che vi si stagliano contro, ma ne fuoriescono a tratti, cercando la comunicazione diretta con il pubblico nell’area dell’orchestra – era essenziale ed efficace.

 

 Sopra un ritratto di Fabrizio Sinisi. Le altre  immagini sono tratte dalla messinscena dello spettacolo nell’estate 2016 con Paolo Graziosi e Daniela Poggi. Altro materiale fotografico, di Filippo Venturi Photography, si trova qui. Qui sotto una delle locandine dello spettacolo.

Locandina di Agamennone, 2016