In un recente volume dal titolo Insegna Creonte. Tre errori nell’esercizio del potere, Luciano Violante scrive:
«In Bielorussia nell’estate del 2020 l’avvio di una grande protesta popolare contro il dittatore Lukashenko, in violazione di editti presidenziali, è partita da Svetlana Tikhanovskaya, moglie di un leader dell’opposizione detenuto; ancora una donna, che, come Antigone, non ha chiesto nulla per sé; ha chiesto per tutto il popolo libertà ed elezioni senza brogli»[1].
L’ex presidente della Camera dei Deputati, insigne studioso di diritto, tornato con quel volume ad occuparsi di mito greco e tragedia, dopo il successo del precedete Giustizia e mito. Con Edipo, Antigone e Creonte, scritto con Marta Cartabia, già presidente della Corte Costituzionale e da poco ministra della Giustizia nel governo Draghi[2], propone di ricorrere al “paradigma Antigone” per spiegare uno dei drammi che hanno colpito la nazione bielorussa. Non so quanto il caso di Svetlana Tikhanovskaya possa davvero corrispondere alla situazione dell’Antigone del mito classico. Ma poco importa. Ciò che conta qui è l’attualità dei modelli tragici antichi come chiavi di comprensione delle vicende odierne.
La storia della Bielorussia nei decenni successivi al crollo dell’URSS, dopo il conseguimento dell’indipendenza, è costellata di tragedie politiche.
Si tratta di una repubblica presidenziale che dal 1994 fino ad oggi è governata ininterrottamente da Aleksandr Lukashenko, ex boiardo del regime sovietico, divenuto guida assoluta del paese. Il suo regime ha assunto via via i tratti di una violenta e intollerabile autocrazia.
Nell’agosto dello scorso anno, in occasione delle ultime elezioni presidenziali, Lukashenko ha trionfato per l’ennesima volta con l’80% dei voti, ma quella tornata elettorale è stata costellata da eventi scandalosi come l’esclusione di molti candidati dell’opposizione e la comprovata manipolazione dei risultati.
In conseguenza di ciò si è sollevata in tutto il paese un’ondata di proteste. Dopo le imponenti dimostrazioni di massa (la cosiddetta “rivoluzione delle ciabatte”), per placare le contestazioni, Lukashenko ha dovuto annunciare le proprie dimissioni, senza per altro tenere fede alla promessa.
Un recente film, presentato all’ultimo Festival del cinema di Berlino nella sezione “Berlinale Special”, fotografa la situazione della Bielorussia di oggi da una prospettiva molto interessante. *
La pellicola si intitola Courage e il regista, Aliaksei Paluyan (nella foto sopra), è un bielorusso che dal 2012 vive in Germania, dove si è laureato all’Accademia di Belle Arti di Kassel, e che si è segnalato quale autore di alcuni cortometraggi, presentati con successo in festival internazionali del cinema (Country of Women del 2017, Lake of Happiness del 2019).
Courage è il suo primo lungometraggio e rievoca le giornate dell’estate 2020: la campagna elettorale di Lukashenko, le proteste della popolazione che sono seguite alla proclamazione dei risultati.
Soprattutto racconta di tre attori teatrali – Maryna, Pavel e Denis – che anni prima avevano deciso di dare una svolta alle loro vite ribellandosi alla soffocante intolleranza del regime autoritario che impediva loro di esprimersi liberamente. Hanno lasciato il lavoro presso il Teatro di Stato di Minsk per unirsi al Teatro Libero Bielorusso (Belarus Free Theatre), un teatro underground clandestino della stessa Minsk, fondato nel 2005 dal drammaturgo e giornalista Nikolai Khalezin e da sua moglie Natalia Koliada, produttrice teatrale. Lo scopo di quel teatro, fin da principio, è stato quello opporre resistenza pacifica contro la censura e la violenza del regime di Lukashenko. Gli spettacoli si svolgono sempre in segreto, nei caffè all’aperto, nei boschi, oppure in appartamenti privati che, per motivi di sicurezza, vengono costantemente modificati[3].
I tre attori teatrali, della cui vita si racconta nel film, partecipano attivamente ai cortei che sfilano per i grandi boulevard della capitale bielorussa per protestare lanciando slogan a favore della libertà di parola e auspicando l’atteso cambio di potere. Ma la voce del popolo è brutalmente schiacciata dall’apparato di sicurezza del regime. I membri del gruppo teatrale, così come molti altri cittadini, vengono arrestati. Il paese si ritrova sull’orlo della guerra civile, in una situazione di impasse da quale non è ancora fuoriuscito.
Il “coraggio” del titolo è precisamente quello di Maryna, Pavel e Denis, che partecipano al movimento di pacifica resistenza; dunque si tratta del coraggio civile come imperativo morale. E l’arte, nel caso specifico l’arte teatrale, si mette al servizio della causa con un’energia liberatoria che soverchia quella di altre forme di protesta.
A parte le bellissime sequenze, girate in presa diretta, che documentano le proteste per strada e la repressione della polizia di Lukashenko, la parte più avvincente del documentario di Paluyan è quella relativa alle prove “clandestine” che si svolgono nel Teatro Libero di Minsk. Il regista Khalezin vive in esilio a Londra e dirige i lavori collegandosi via Skype; i mezzi a disposizione sono ridotti, e la tematica del pezzo che si vorrebbe mettere in scena è quanto mai pericolosa: si tratta, infatti, della sorte dei politici oppositori di Lukashenko scomparsi o ridotti nella miseria più totale.
Uno dei momenti più toccanti del film è quando migliaia di cittadini protestano pacificamente davanti alla sede del parlamento e improvvisamente un intero esercito di truppe militari si precipita fuori dall’edificio. Sui volti delle persone si percepisce il timore della possibile carneficina. Ma alcune donne, con coraggio, si avvicinano ai giovani soldati e porgono loro dei fiori. Quei soldati, per lo meno una gran parte di loro, accettano l’omaggio floreale e si lasciano abbracciare. Improvvisamente sorge la sensazione che quelle reclute armate possano passare dalla parte del popolo, anche se poi, naturalmente, saranno richiamate all’ordine dai loro capi.
Quello che la pellicola di Paluyan esprime è uno sguardo molto originale sugli eventi recenti della Bielorussia: le vite quotidiane dei tre attori protagonisti forniscono una prospettiva emozionante e coinvolgente.
Non sono affatto degli eroi, bensì esseri umani fragili e dubbiosi, preoccupati per la sorte dei figli o per la prospettiva di finire in carcere o in esilio. Ma attraverso l’impegno artistico trovano il coraggio di resistere.
In conclusione, vogliamo citare un eloquente commento del regista sulle finalità che si è proposto:
«Ho voluto fare un film che mostrasse la verità sulle vite dei tre attori teatrali e sul loro lavoro, ma anche su quello che la gente comune in Bielorussia sente e sogna in questo momento. Mi auguro vivamente che Courage abbia un impatto e mostri che questo argomento non è solo politicamente rilevante, ma assume anche un senso universale. Perché il popolo bielorusso ha bisogno dell’attenzione e del sostegno del mondo, ora e in futuro».
[1] L. Violante, Insegna Creonte. Tre errori nell’esercizio del potere, il Mulino, Bologna 2021, citazione a p. 44-45.
[2] M. Cartabia, L. Volante, Giustizia e mito. Con Edipo, Antigone e Creonte, il Mulino, Bologna 2018.
* Questo intervento è in parte la rielaborazione della recensione pubblicata sulla rivista «Close-Up. Storia della visione» il 7 marzo 2021 (http://www.close-up.it/courage). Ringrazio Giovanni Spagnoletti, direttore di «Close-Up», per aver concesso l’autorizzazione.
[3] Per saperne di più si veda il sito ufficiale del teatro: https://www.belarusfreetheatre.com/.
Le immagini, tranne la foto del film sono tutte tratte dal film, per gentile concessione dell'Ufficio Stampa della Berlinale. Il trailer qui. Sulla situazione in Bielorussa vedi anche il post : Il 2020 tragico di Minsk e l'irreversibile rivoluzione bielorussa.