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The classical now, Londra 2018

Torniamo alla letteratura greca, come è stato fatto tante volte in questi mesi, torniamoci ancora come in una sorta di bilancio, per capire almeno quanto – nonostante le abissali differenze culturali e tecnologiche – la percezione della malattia e delle sue conseguenze, sulle vite individuali come sulla collettività, sia davvero poco cambiata, e come ancora, nel riflettere su noi stessi e su quello che ci capita, ci è impossibile non ritornare ai Greci, ai quali chiediamo ancora di esprimere, con il loro immaginario, mitologico, letterario, artistico, eventi ed emozioni della nostra esperienza umana. 

Immagine simbolica della violenza contro le donne

Ho riletto da poco uno dei più controversi romanzi di Elfriede Jelinek, Lust (trad. it. La voglia), scritto nella seconda metà degli anni Ottanta nel pieno dell’epidemia HIV.

Dopo aver pubblicato Al di là del tragico: l’Università che vogliamo, abbiamo ricevuto vari riscontri da parte di coloro che nel cambiamento dell’Università, non solo di quella di Sassari, sono concretamente impegnati, anche (ma non solo) con la loro candidatura alla carica rettorale.  Ringraziamo in particolare Giampaolo Demuro e Roberto Furesi.

Indirettamente ha contribuito a questo dialogo l’astronauta Roberto Vittori, che, durante una lezione a distanza il 20 maggio, ha confessato di non aver mai provato paura mentre era in missione nello spazio, e che invero l’unica paura che abbia mai provato e provi nasce dall’angoscia di aver lavorato inutilmente, cioè senza lasciare nulla in eredità: per questo, ha detto, pensa di impoegnarsi professionalmente  nell’insegnamento universitario, come complemento necessario ad ogni sua missione. Lo spazio, ha detto inoltre, è quello che esploriamo attraverso gli infiniti viaggi della conoscenza. 

Ribadiamo oggi l’intento di continuare un confronto sui temi che riguardano l’Università, l’insegnamento universitario, il valore della formazione e dell’istituzione universitarie, particolarmente importante – ci sembra -  in questa fase che si indica come ‘di ripartenza’. Riceviamo e pubblichiamo, perciò, una nuova sollecitazione da parte di Plinio Innocenzi, il quale ha già contribuito a questo blog con il post La scienza in tempo di crisi nel terzo millennio

Ho letto con grande piacere sul blog Visioni del tragico/Covid19/Scene per il futuro la lettera aperta ai “candidati” alla carica di Rettore. Finalmente si comincia a discutere di progetti, di visioni e di futuro. Viviamo un tempo sospeso, in cui la fragilità dell’illusione di essere al riparo dal mondo e dagli eventi esterni ci ha rivelato anche la fragilità delle immagini distorte della realtà.

Un tempo sospeso, in cui i “candidati” alla carica di Rettore, sono al momento solo virtuali ma tra breve dovranno fare i conti con una realtà complessa e che richiede la necessaria concretezza per uscire da proclami e promesse, e risolvere invece i problemi che questa crisi ha amplificato.

Scopro di essere un «battitore libero», ma si potrebbero usare altre espressioni altrettanto evocative come free lance (lancia libera), oppure, in giapponese,  ronin, il samurai senza padrone.[1] È un lusso e un privilegio che solo poche categorie professionali possono vantare, tra queste i professori universitari.

L’Università è il luogo d’elezione dove esercitare la libertà, che vuol dire indipendenza dalla politica, dal potere economico e anche dalle logiche dei gruppi di portatori di interesse interni. Rimanere liberi, pensare in modo originale e fuori dagli schemi è molto difficile, e richiede l’onestà intellettuale necessaria ad evitare facili scorciatoie.

Per questo alla domanda che Università vorresti, non avrei molti dubbi nell’affermare che dovrebbe essere soprattutto il luogo dove esercitare libertà di pensiero e indipendenza. Questo vuol dire anche liberarsi dalle catene fatte di burocrazia e di un linguaggio umiliante e incomprensibile, pieno di sigle astruse, che trasformano gli insegnamenti in offerta formativa e i laureati in capitale umano o peggio risorse umane.

Trovo molto bella la descrizione dell’Università come «luogo fisico e metaforico di incontro, dibattito, conflitto». La mia Università, come l’ho vissuta e come vorrei che continuasse ad essere, è una comunità di ricercatori, siano essi studiosi di archeologia, fisica, botanica, medicina, chimica, greco antico, epigrafia, ecc. La figlia della ricerca è la trasmissione della conoscenza, non l’offerta formativa, ma il rapporto che si stabilisce tra il docente che racconta ciò che ha imparato e vuole trasmettere, compresa la passione per le proprie materie.

Un’altra bella frase della  lettera aperta riguarda la scienza e la ricerca che dobbiamo necessariamente riportare ad avere un ruolo centrale nell’Università, « ‘scienza’ non è un’etichetta solo per le scienze della natura e le cosiddette ‘scienze dure’, ma definisce ogni sapere che si sviluppi e che sia oggetto di ricerca». Credo non possa esserci commento migliore di una frase di Leonardo da Vinci, che ho letto e studiato con molta attenzione perché ho sempre trovato la sua inesauribile voglia di conoscere tutto una straordinaria fonte di ispirazione: «Quelli che s'innamoran di pratica sanza scienzia son come 'l nocchier ch'entra in navilio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada

Sono probabilmente concetti astratti, ma mi domando un rettore cosa debba trasmettere ai suoi colleghi: programmi rettorali di decine di pagine, che elencano in modo maniacale tutto quello che si vorrebbe fare per non scontentare nessuno e non perdere voti, o una visione e forse un ideale nel quale riconoscersi? Ho imparato dalla mia personale esperienza che gli ideali sono poi gli elementi fondanti delle comunità.

Senza una visione comune, non saremo in grado di costruire il mondo dopo questa crisi.

Abbiamo continuato a ripetere durante questo tempo sospeso che nulla sarà come prima. Bisogna ora trovare la capacità e l’energia per cambiare e cogliere il cambiamento come un’opportunità.

Saluti

Plinio Innocenzi

 

[1] Allusione all’articolo apparso sull’ ‘Unione sarda’ del 18.5.2020, dal titolo Elezioni negate nell’ Ateneo dei veleni, a firma di Ivan Paone, dove si legge: «Intanto, il fronte degli oppositori [al Rettore uscente, il Prof. Massimo Carpinelli] ha già scelto il suo candidato: Gavino Mariotti, ordinario del Dipartimento di Scienze Umanistiche. Carpinelli ha fatto scendere i campo tre suoi uomini: Luca Gabriele Deidda, prorettore vicario, Giampaolo Demuro, direttore del Dipartimento di Giurisprudenza, Roberto Furesi, ordinario di Agraria. A questi quattro si aggiunge un battitore libero, Plinio Innocenzi, ex addetto scientifico all'ambasciata italiana a Pechino.»

Immagine simbolica dell'isolamento epidemico

La paura può diventare essa stessa una malattia, come avvertiva Ludovico Antonio Muratori all’inizio del Settecento: «L’apprensione, il terrore e la malinconia sono anch’essi una peste ne’ tempi di peste».  Lo è diventata, una sorta di malattia, al tempo del coronavirus, in cui il pericolo di contagio ha scardinato le nostre certezze, ha  minato  la sicurezza delle nostre vite,  ha  dato corpo al fantasma  di una malattia breve e di una morte  repentina.