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Philoktet, scuola Ernst Busch, Berlino 2014

Pochi anni prima della rappresentazione del Filottete di Sofocle, nel 415 a.C., Euripide aveva rappresentato nelle Troiane le atrocità e la barbarie a cui porta la guerra, quando i vincitori si abbandonano all’orgia del saccheggio, travalicando ogni limite e perdendo il senso della pietas verso i nemici e verso gli dei.

 

 «Ma ora che ho trovato in te una guida e un messaggero insieme, salvami tu, abbi pietà di me: vedi come tutto per i mortali è insidioso ed esposto al rischio, tanto la prosperità quanto la sfortuna. Chi è fuori dai mali bisogna che pensi alle disgrazie, e quando è felice, allora più che mai deve vegliare sulla propria vita, perché non vada in rovina senza che egli se ne accorga.»[1] (S. Phil. 500-506)

Il laboratorio di Drammaturgia antica dell’Università di Roma Tor Vergata è nato alcuni anni fa dal desiderio di offrire agli studenti (non solo antichisti, non solo di Lettere) uno spazio dove esplorare i personaggi e i testi del teatro classico non soltanto ‘a tavolino’, ma attraverso l’espressione teatrale, restituendoli alla dimensione scenica che gli è propria.

Giorgio Agamben ha pubblicato ieri, sul sito dell’ Istituto Italiano per gli studi filosofici, un post dal titolo Requiem per gli studenti, che ha già suscitato indignazione da parte di molti miei colleghi e forse farà discutere almeno quanto l’analogo post pubblicato dallo stesso filosofo ad inizio pandemia (L’invenzione di un’epidemia). Chi scrive, spera che accada e la discussione si accenda, poiché pensa che un dibattito sull’Università sia più che mai urgente.